Bella l'inziativa de "La Stampa" di ripubblicare le foto di un pezzo di Italia che emigra verso il nord, verso Torino. Tutte rigidamente firmate "Archivio la Stampa" e ci risiamo in questo infame tic di non dare nome e cognome a chi di dovere. Nel progetto tutti hanno il credito, chi ha curato i testi e le didascalie, chi ha curato la ricerca iconografica, chi si è curato del design, ma il fotografo no.
Ci avrebbe fatto piacere, anche dal punto di vista storico, sapere chi ha lavorato su quei mutamenti epocali della storia d'Italia, che, paradosso dei paradossi, sono visibili perché esiste una documentazione fotografica.
Ci permettiamo dunque di suggerire all'ottimo direttore (invero ottimo e senza alcuna ironia) che avrebbe fatto meglio a dare un'occhiata alla sezione del NYT che si chiama "the Lively morgue" e vedere come la Signora in Grigio tratta la memoria gli archivi e la fotografia. E magari applicare quel criterio. Si dice che sia in cerca di novità e risposte alla crisi dell'editoria, quella avrebbe potuto essere già una piccola inversione di tendenza. Mario Calabresi, il direttore, ha appena scritto un libro il cui tema è, attraverso le interviste con famosi reporter, la fotografia. Bene, vuol dire che ha passione per il tema.
Mi rimane però sempre il dubbio sul perché nella testa dei giornalisti, e di conseguenza dei direttori, la fotografia sia relegata nell'iperuranio, come da filosofia Platonica, o tutt'al più nei musei, insomma da un'altra parte, mai sui loro tavoli, non certo quotidianamente nelle pagine dei loro giornali. Ci vorrebbe uno psicanalista!