L’esclusione del fotografo danese Bo Christensen, decisa dalla giuria del premio nazionale “Picture of the Year”, che ha valutato eccessiva la postproduzione nelle immagini presentate al concorso (vicenda raccontata su queste pagine dal presidente Gsgiv dell'Alg Amedeo Vergani), obbliga a riflettere sul limite delle manipolazioni consentite in fotografia. Limite non facile da identificare.
Il problema etico, ovviamente, va circoscritto a quegli ambiti in cui dalla fotografia ci si aspetta una documentazione o una testimonianza. In tutti gli altri casi la valutazione sarà di tipo estetico o filosofico, e non ha senso chiedersi a priori cosa si possa o non si possa fare.
Lo scandalo sollevato dai giudici del concorso serve a ragionare sulla natura delle immagini che vediamo sui media di tutto il mondo, su quanto siano rispettose della verità, su quanto offrano un’informazione affidabile. Rimandando, per un’analisi approfondita del rapporto vero-falso in fotografia, al libro Un’autentica Bugia di Michele Smargiassi , vogliamo qui semplicemente segnalare, a titolo di esempio, alcune caratteristiche di una delle tre più importanti agenzie di news del mondo, la Reuters .
Reuters Pictures carica in tempo reale oltre 1500 fotografie al giorno provenienti da tutto il mondo, prodotte da fotografi di staff e collaboratori occasionali (detti stringer), i quali, pur non avendo un rapporto continuativo con l’agenzia, forniscono quelle immagini di breaking news sfuggite ai membri dello staff per ovvi motivi geografici, temporali, ecc, permettendole di avere un’informazione il più possibile completa. I clienti di Reuters e delle altre grandi agenzie (AP, AFP su tutte) si aspettano una copertura globale e completa di tutti gli avvenimenti principali. Di solito i quotidiani hanno un abbonamento e ricevono direttamente sul “sistema” (un programma per la visualizzazione, l’archiviazione e la messa in pagina delle fotografie) una fornitura (feeding) 24 ore su 24 da parte delle agenzie di news, nazionali e internazionali.
Considerati i tempi tra la produzione e l’invio ai clienti, poche decine di minuti in molti casi, sarebbe impossibile per i fotografi e gli editor dell’agenzia effettuare post-produzioni lunghe e complicate, concedendosi al più qualche intervento rapido su contrasto e luminosità.
I codici etici sono molto restrittivi e interventi di manipolazione manifesta, se scoperti, portano al ritiro immediato delle fotografie incriminate e a sanzioni verso i fotografi, fino all’interruzione del rapporto lavorativo. Esemplare in questo senso la vicenda, risalente al giugno 2006, che costrinse Reuters a cacciare il fotografo Adnan Haji per aver aggiunto del fumo posticcio alla Beirut bombardata dall’aviazione israeliana .
Il caso sollevato oggi è però di più difficile valutazione, poiché non sono riscontrabili immediatamente secondi fini e l’intervento sembrerebbe essere esclusivamente di tipo estetico. Tornando alle agenzie di news e al sistema dei media citato sopra, risulta evidente che una fotografia per essere scelta deve saltare all’occhio di editor, grafici e impaginatori. Per farlo deve essere facilmente e immediatamente comprensibile a chi ne sta scorrendo centinaia. Colori vivaci e brillanti, forme e linee semplici, pochi dettagli e poco disordine, riferimenti all’iconografia classica (spesso sacra) a cui siamo abituati da secoli, sono le chiavi del successo di un’immagine. Spesso dietro a scelte che potrebbero sembrare ideologiche, riordinare il mondo, ripulire la realtà, la povertà, la guerra, sta semplicemente un problema di tempo. Gli editor delle grandi agenzie, per facilitare la scelta, hanno preselezionato le immagini che rispettano più o meno queste caratteristiche, identificandole con la tag “top pictures”.
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