In perfetta sintonia con una cultura giornalistica che ha sempre considerato la fotografia un’appendice alla notizia scritta, un mero tappabuchi della pagina, il fotogiornalismo non ha meritato finora una sua storia. Mentre la carta stampata ha avuto in Paolo Murialdi il suo attento storico e a centinaia si contano i saggi e le ricostruzioni dei percorsi e delle trasformazioni dei quotidiani e dei periodici negli ultimi cinquant’anni, la storia del giornalismo per immagini rimane una storia per molti versi mai raccontata. La questione del ruolo e della funzione della notizia visiva nel sistema dell’informazione, il problema dello spazio che ad essa viene dedicato e di quello che dovrebbe in teoria occupare, e soprattutto il nodo della figura professionale del fotoreporter, sono stati oggetto solo di scritti e mostre occasionali, relegati spesso ad interventi durante convegni che si sono fatti negli ultimi anni sempre meno frequenti, hanno trovato posto solo in articoli ed esposizioni di commemorazione nostalgica, come corollari alle memorie delle due “età d’oro” dell’Italia e del nostro fotogiornalismo, i primi anni della ricostruzione e quelli del ‘68.
L’unico tentativo di andare oltre a critiche o sfoghi estemporanei e di offrire un quadro dell’evoluzione del fotogiornalismo in questo paese, data ormai vent’anni fa. E’ L’informazione negata. Il fotogiornalismo in Italia 1945/1980, uscito nel 1981 per le edizioni Dedalo a cura di Uliano Lucas e Maurizio Bizziccari accompagnato da una mostra di 600 immagini alla Pinacoteca di Bari e a Palazzo Manin a Milano. Le foto, scelte dagli archivi di Giancolombo, Patellani, Garrubba, Cerati, Mulas, Dondero, De Biasi …, tentavano di gettare uno sguardo sui percorsi professionali di almeno alcuni dei nostri maggiori fotoreporter, e i testi, firmati da protagonisti e storici dell’informazione visiva e scritta come Ermanno Rea, Edgardo Pellegrini, Arturo Carlo Quintavalle, volevano denunciare i limiti della nostra cultura fotografica, proporre dei temi di riflessione e delle chiavi di lettura sui meccanismi politici ed economici che hanno impedito l’imporsi sulla nostra stampa di prodotti di informazione fotografica di alta qualità.
Erano i primi anni ottanta e l’iniziativa era l’ultima eco di un dibattito che aveva animato gli anni settanta e che stava per spegnersi nella nuova normalizzazione del paese e dell’informazione. Oggi, a distanza di vent’anni, in un mondo che è ormai dominato dall’immagine, in cui le nuove tecnologie stanno trasformando radicalmente, a una velocità impensata, i modi di fare informazione, e che vede però irrisolti molti dei nodi cruciali del mercato della notizia visiva, la mancanza di una riflessione sulla storia dell’immagine giornalistica nel nostro paese torna a farsi sentire.
Ecco allora questa nuova mostra che si rivolge alla nuova generazione di fotografi e di addetti ai lavori che, talora soffocata dai tecnicismi dei nuovi sistemi di informazione, rischia di smarrire il legame con il passato e con la riflessione teorica sul mezzo, ma anche ai non specialisti sempre più condizionati, spesso inconsapevolmente, nella società massmediatica in cui viviamo, dalle scelte d’informazione compiute dai giornali, dalla televisione, da internet. Operando su più piani narrativi, attraverso un allestimento che affianca all’esposizione tradizionale delle fotografie di giornalismo degli ultimi 50 anni, sezioni che ricorrono a strumenti multimediali per proporre diversi percorsi di riflessione e di informazione, la mostra tenta di sciogliere lungo le diverse sale il nodo complesso delle problematiche legate al linguaggio visivo, ai modi dell’informazione, cerca di indagare i nessi fra stampa, editoria e poteri economici e politici che hanno profondamente segnato la storia del fotogiornalismo fin dai suoi albori.
Documentano davvero le foto pubblicate in questi cinquant’anni sulle decine di periodici di questo paese, la realtà dell’Italia? Cosa ha fotografato il fotoreporter e cosa ha scelto di pubblicare il direttore? Qual è il limite del loro fare informazione? In che misura le richieste dell’editoria hanno condizionato o modificato il modo di fotografare del reporter? Quando si sollevano queste domande si arriva ad affrontare la chiave di volta della storia del fotogiornalismo italiano dal dopoguerra ad oggi, ed, insieme, si torna a sottoporre all’attenzione di chi fa informazione una di quelle questioni fondamentali che, quando si parla di notizia e di libertà della notizia, non bisognerebbe mai dimenticare di porsi. Non è un caso che l’unico libro che ha tentato di tracciare una storia del fotogiornalismo in Italia avesse come titolo l’Informazione Negata. Perché la storia del fotogiornalismo in Italia è anche una storia delle fotografie non fatte, dell’uso e dell’abuso della notizia e dell’immagine, della censura politica, di quel gap rispetto all’Europa che ha portato la stampa, se non in rari casi, a trascurare la fotografia (ed anche questo gap verrà mostrato, attraverso un confronto con alcune foto di reportage di testate straniere).
Ed è soprattutto una storia di quei nessi fra potere politico, grandi aggregazioni editoriali e stampa, che hanno segnato, con le loro committenze, l’indirizzo del fotogiornalismo italiano, favorendo l’affermarsi di una fotografia d’agenzia neutra e di bassa qualità e ostacolando lo sviluppo di qualsiasi forma di fotografia indipendente, ragionata, personale. Accanto a questa grande storia, c’è poi però anche quella, minoritaria, dei tentativi di direttori, intellettuali e fotoreporter di infrangere il muro dell’informazione di potere e fare un buon giornalismo d’immagine. Ecco allora le esperienze nel campo della grafica e della fotografia di Pasquale Prunas con Le Ore ed Il Messaggero, di Carlo Rizzi con L’Europeo ed Epoca, di Gianluigi Colin coi supplementi del Corriere della Sera e di Corona con King e La Voce e le scelte innovative nell’uso dell’immagine di Gianluigi Melega a L’Europeo e Panorama, di Nicola Cattedra a Tempo Illustrato e a L’Ora, di Nini Briglia ad Epoca, di Tommaso Giglio a L’Europeo, di Paolo Pietroni come ideatore di Sette e di Lo Specchio, e di Bracaglia, inventore dei supplementi di Vie Nuove, infine, di Alberto Ronchey a La Stampa.
Esperimenti editoriali, profili di grandi intellettuali, storie di sapienti conoscitori dello strumento della macchina fotografica, di abili creatori della notizia, soprattutto di uomini che hanno amato il proprio mestiere, che vengono offerte, forse per la prima volta, come un imprescindibile punto di riferimento, un necessario filo di congiunzione con il passato per i nuovi professionisti dell’immagine. Non dunque 300 immagini appese ad una parete per essere apprezzare per il loro riscoperto valore estetico e artistico o per essere lette unicamente come documento del “come eravamo”, della storia del paese, non una mostra nel senso tradizionale del termine, ma un’operazione culturale in cui diversi mezzi e linguaggi, oculatamente usati - immagini, grafica, testi, ipertesti, video - sono chiamati a intrecciare più racconti cercando di restituire una storia in tutti i suoi risvolti. Del resto non è forse proprio questa la formula che ci ha insegnato il buon fotogiornalismo?
In questo spazio saremo lieti di pubblicare i commenti e i vostri pareri sulla mostra di Torino (da inviare a fotoinfo@fotoinfo.net ).