Correttezza dell'informazione

  • didascalia: Oum Saad in lacrime: una foto che ha fatto storia
  • firma: non firmata (Hocine/Afp vincitore foto dell'anno WWP 1998 )
  • fonte: la Repubblica, 19 settembre 1998
Dalla lettura della mezza informazione de la Repubblica si capisce soltanto che i colpevoli delle nuove disgrazie che si sono abbattute su Oum Saad, la donna ritratta nella fotografia, sono il fotografo che "irrompe, scatta tre foto e fugge", e la didascalia alla foto che le attribuiva erroneamente un altro nome e otto figli morti nella strage di Bentalha.
In una lettera al quotidiano romano il nostro collega Roberto Koch (la Repubblica 23 sett.1998) contesta la versione della fuga del fotografo sulla base del racconto di Hocine e ricorda che se fuga "c'è stata, era dalla proibizione, come sempre in Algeria, di scattare fotografie"
(cfr. anche Hocine, in 1998 World Press Photo, p.7)
In primo piano nella mezza informazione de la Repubblica, c'è unicamente il dramma di un singolo senza contesto.
Manca totalmente la notizia della causa intentata per diffamazione dalla donna contro il fotografo Hocine, contro il capo dell'ufficio della Afp di Algeri, contro Alain Bommenel, e contro il direttore dell'informazione dell'agenzia, Yvan Chemla.
Manca un riepilogo della vicenda che vede prima il quotidiano filogovernativo Horizon sostenere la falsità della fotografia; poi, la pubblicazione sul quotidiano indipendente in lingua francese El Watan, di una sequenza ripresa da un altro fotografo dove compare la stessa scena da un'angolatura diversa; ed infine manca la rettifica della didascalia errata da parte della dell'agenzia Afp.
Non una parola dei rapporti estremamente tesi fra il governo algerino e i giornalisti. Il governo algerino sostiene che la stampa inventa i massacri e che quando si verificano, i giornalisti aumentano il numero delle vittime. (cfr. Jean-Pierre Tuquoi, "«La madone de Bentalha»: un photo qui dérange les médias et le pouvoir", Le Monde 23 juillet 1998)
Un'occasione mancata per fornire al lettore un tassello in più sulla complessità dell'attuale situazione algerina.
L'autore della fototografia della cosidetta Madonna di Bentalha, Hocine (nome di battesimo, il cognome non è mai stato reso noto per ragioni di sicurezza) e il responsabile dell'ufficio di Algeri dell'agenzia di stampa France Presse (Afp) sono stati citati per diffamazione da Oum Saad, la donna ritratta nella foto.
La fotografia nonostante sia "atemporale, poco informativa, ma più commovente di una fila di cadaveri" è stata pubblicata sulle prime pagine dei giornali di tutto il mondo ed ha fatto vincere al suo autore il World Press Photo 1997 per la migliore fotografia dell'anno.
I fastidi per il nostro collega e per la Afp sono iniziati quando il quotidiano algerino filogovernativo Horizons, ha scritto che si trattava di una manipolazione e di un montaggio. La pubblicazione sul quotidiano El Watan della stessa sequenza fotografica, ripresa da un altro fotografo con un'angolazione diversa, sembrava aver messo fine alla vicenda. Ma la donna ha rilasciato interviste alla televisione dichiarando di non aver perso otto figli nella strage come riportato dall'Afp, ma suo fratello e famiglia di lui. L'agenzia ha retificato la didascalia in "Una donna piange all'esterno dell'ospedale di Zmirli dove sono stati trasportati i morti e i feriti della strage di Bentahla, in Algeria, il 23 settembre 1997". Oum Saad ha chiesto che si smetta di utilizzare la sua immagine denunciando "certa stampa" che si nutre "delle sofferenze degli algerini". Ed infine, dieci mesi dopo il massacro, è arrivata la messa sotto accusa di fotografo e agenzia.
L'articolo del quotidiano parigino prosegue denunciando i pessimi rapporti tra stampa e governo algerino. Nonostante un'annunciata liberalizzazione dei visti d'ingresso per i giornalisti della stampa internazionale le restrizioni sono ancora fortissime. I giornalisti ottengono permessi di 48 orre al massimo, con l'obbligo di accettazione della scorta armata.
La "Madonna d'Algeria" fa causa al fotografo: quell'immagine mi diffama, di Marco Del Corona (rippreso dall'articolo di Le Monde). Corriere della sera 24 lug.1998,
"Irrompe Hocine, fotografo algerino della Agence France Presse, scatta tre foto a Oum Saad e fugge. La sera stessa i telegiornali del mondo diffondono la sua immagine indicandola come la madre disperata per la morte dei suoi otto figli. Hocine diventa famoso e ricco." Così l'inviato de la Repubblica liquida il nostro collega nel primo dei due articoli apparsi il 19 sett. 1998.
"Voi tutti mi conoscete come la Madonna di Algeri. L'immagine del mio volto straziato all'indomani del massacro di Bentalha ha fatto il giro del mondo. É diventata il simbolo della sanguinosa guerra dei terroristi islamici. Al fotografo che mi ha ripreso furtivamente è stato assegnato il più ambito premio fotografico mondiale. Altri hanno lucrato sfruttando la testimonianza del mio dolore. Ma a me quell'immagine ha portato solo nuove calamità. Ecco perchè ho deciso di parlare. Voglio che sappiate la verità". E così inizia intervista vera e propria alla madre di sei figli che vive in una grotta insieme ad altre due famiglie; venti persone in tutto, in meno di 40 metri quadri.
Al di là del comprensibile dramma di una donna coivolta suo malgrado nei meccanismi dell'informazione, non si dice nulla dell'azione legale che Ouum Saad ha intentato contro il fotografo e l'agenzia Afp.
Oliviero Toscani, fotografo pubblicitario, fa alcune considerazioni sulla Madonna di Algeri. "Un'immagine quasi pittorica che certamente ritrae un dolore grandissimo ma che colpisce solamente per il suo straordinario contenuto estetico. Del resto se questo serve a far ricordare al mondo l'orrore di quello che sta capitando in Algeria, va bene comunque. Il bello è da sempre una chiave della comprensione".
Ho letto su la Repubblica di sabato scorso il servizio molto interessante di Magdi Allam a proposito della Madonna di Algeri Oum Saad, divenuta famosa per la fotografia che le ha scattato Hocine e che ha fatto il giro del mondo. Le sue dichiarazioni aggiungono informazioni e visibilità al dramma della guerra civile algerina, che é una delle più grandi tragedie del nostro tempo. Ed é interessante che questo avvenga, per una volta, a partire da una fotografia, da quell'immagine che giornali e tv di tutto il mondo hanno pubblicato e trasmesso rendendola icona simbolo di questa tragedia. Mi vengono però in mente alcune considerazioni e precisazioni che meglio possono far comprendere i risvolti dell'accadut.
Hocine, vincitore del World Press Photo di quest'anno é diventato famoso, ma non certo ricco. Ho partecipato più volte alla giuria internazionale del premio World Press Photo ed ho conosciuto Hocine personalmente. Il suo lavoro, e la sua vita, sono tutt'altro che facili, come quella di tutti i fotografi e giornalisti, locali e non, che si occupano della situazione in Algeria.
Magdi Allam dice che é fuggito dopo aver fatto tre scatti. Non é andata così. L'eventuale fuga, che non c'é stata, era dalla proibizione, come sempre in Algeria, di scattare fotografie. Molti rullini gli sono stati sequestrati, e solo poche foto, tra cui otto scatti a Oum Saad, sono state salvate. La didascalia che accompagna la foto, come si può notare anche nel volume World Press Photo 1998 da noi editato riporta : "Una donna piange all'esterno dell'ospedale di Zmirli, dove sono stati trasportati i morti e i feriti in seguito al massacro di Bentalha". E non fa alcun riferimento agli otto figli, come invece é stato pubblicato sui giornali (non tutti), per errore, il giorno successivo alla strage. La questione delle didascalie é molto seria e dovrebbe senz'altro comportare una maggiore attenzione degli organi di stampa.
Sarebbe utile che quest'occasione, mettendo in luce le conseguenze negative che la circolazione di una foto ha potuto creare ad una persona, privata in parte dei propri diritti, diventasse anche un'opportunità per riflettere sul rapporto tra informazione e immagine, che nella stampa italiana sembra vivere uno stato di inconsapevolezza perenne.
E' un fatto che la memoria storica degli eventi ha bisogno, per essere salvaguardata, di immagini fisse. Molto più della televisione - estremamente più potente sul momento, ma meno duratura nella memoria - la fotografia preserva attraverso alcune immagini che diventano icone degli eventi, il ricordo collettivo, il riferimento principale di un certo evento contemporaneo. Mai come quest'anno, dalle celebrazioni del trentennale del '68 (la foto di Marianna a Parigi), e l'invasione di Praga, della nascita dello stato di Israele, alle numerose riedizioni del dibattito su falsità e verità nella fotografia a partire dalla famosa foto del miliziano spagnolo del 1936 di Robert Capa - definitivamente accertata come autentica, a dispetto dei tanti detrattori - si é assistito ad una celebrazione dell'indispensabilità della fotografia come linguaggio della memoria.
Mi ha molto colpito l'articolo uscito su La Repubblica del 19 settembre che parla dei retroscena della foto premiata con il World Press Photo awards 1998.
Rimando gli interessati all'intervista che la signora Oum Saad (il soggetto ritratto nella foto) ha rilasciato a Magdi Allam.
Per un anno circa tutto il mondo ha creduto che la signora fosse una madre di 8 figli sterminati nella strage di Benthalla; in realtà ad essere uccisi erano stati Il fratello, la moglie di questo e la figlia; non che faccia granchè differenza nel dolore di una persona colpita in una maniera così brutale, mentre, ai fini di una corretta informazione la differenza certamente esiste
L'agenzia AFP, presso cui lavora il fotografo Hocine, non si è preoccupata, se non dopo lunghissimo tempo, di verificarne la veridicità: se lo avessero fatto a tempo debito forse avrebbero scoperto (e con loro l'autore della foto) per esempio i guai che quella foto le aveva procurato e le condizioni di estrema indigenza in cui la signora e la sua famiglia erano costretti a vivere;.
Aggiungo anche che avrebbero dovuto farlo a maggior ragione perché la stampa filogovernativa Algerina si era impegnata con forza a negare l'esistenza di quella donna.
Voglio rammentare un episodio molto simile, che per fortuna ha avuto degli sviluppi:
qualcuno ricorderà la foto della bimba ferita ad un occhio da un cecchino serbo, ritratta davanti all'ospedale Kosevo a Sarajevo: Bosnia.
Anche quella foto fece il giro del mondo e addirittura il fotografo se ne accorse svariati giorni dopo, (la comunicazione con l'esterno, chi è stato a Sarayevo ,lo sa, era difficilissima e l'autore della foto era un free lance che vendeva le sue foto alla Associated Press per pagarsi la permanenza in città)
Per lui era un lavoro di ordinaria amministrazione: un ferito in più ritratto all'ingresso dell'ospedale.
Se non che, per i casi della vita quella foto prende le prime pagine dei più grandi giornali del mondo e mette in moto una campagna di solidarietà che permette alla bambina ferita e ai suoi genitori di uscire dalla città assediata per prestarle cure adeguate : la foto si materializza, il soggetto ha un nome e cognome e una storia.
E l'autore della stessa, una volta venuto a conoscenza di tutto quel che era successo, va a trovare la bimba e la madre.
Ecco ,tutto questo in Algeria non è successo: sarà l'assuefazione alla tragedia, sarà che i musulmani contano meno dei bosniaci (ma non erano musulmani pure loro ?)
Sarà la vicinanza e l'obiettiva difficoltà della stampa a muoversi in una situazione incancrenita come quella algerina.
Però nell'intervista che apre il volume dedicato alle foto premiate per il WPP 1998 non c'è il minimo accenno da parte dell'autore al soggetto della fotografia, neanche la remota curiosità di sapere chi fosse, neanche un discreto ringraziamento per tanta fama tutto sommato da lei veicolata (e denaro, e assignement importanti, ritengo)
Tantomeno all'intervistatore che suppongo essere persona informata sui fatti, è venuto in mente di chiedere qualcosa al riguardo

Tutto questo, senza nulla togliere alla bellezza e all'importanza della foto e tenendo presenti le condizioni in cui l'informazione è costretta a lavorare in Algeria, non mi sembra affatto bello.

Marco Vacca