Recensione del libro di Olivier Lugon Lo stile documentario in Fotografia -Da August Sander a Walker Evans 1920-1945
Nell’ottica dello stile documentario, la fotografia straight di Stieglietz o Strand, la Neue Sehen di Moholy Nagy e perfino la Neue Sachlichkeit di Albert Ranger-Patzsch o il culto della tecnica del gruppo f64 di Weston e Adams hanno in comune con il pittorialismo abiurato e aborrito, con le immagini alla Demachy, Puyo, Kaesebier molto più di quanto non sarebbero disposti ad ammettere i loro fautori.
Un po’ semplicisticamente, se si dovessero dividere in due gruppi i grandi maestri della fotografia attivi tra la fine dell’800 e la prima metà del 900, si potrebbero mettere tutti insieme quelli elencati poco sopra, perlomeno per le porzioni più significative delle loro carriere: Ansel Adams al fianco di Robert Demachy dunque, mentre in un secondo gruppo si troverebbero Lewis Hine ed Eugene Atget, August Sander, Berenice Abbott e Walker Evans. Infatti, laddove i primi sono impegnati a definire la qualità di una fotografia sulla base di regole compositive e formali che presuppongono un intervento diretto e forte da parte dell’autore che si fa interprete e ricostruisce la realtà riferendosi a un codice formale deciso a priori, i secondi fanno un passo indietro rispetto al soggetto, reso protagonista della composizione e dell’estetica dell’immagine e contemporaneamente accettano uno sguardo sul mondo di tipo diretto, quasi banale.
Ma soprattutto, con l’importanza attribuita alla serie fotografica, i documentaristi fanno esplodere la contraddizione del movimento modernista che, ripudiando il pittorialismo nell’estetica e nell’apparenza superficiale, ne accetta in realtà i principi fondamentali, tutti, ancora una volta, di origine pittorica: l’autorialità, l’importanza della trasfigurazione del reale nella rappresentazione, l’attenzione posta sulla composizione, la riuscita della singola immagine, ecc. La valutazione dell’efficacia di una composizione fatta di linee, forme e chiaroscuri domina sia il pittorialismo che la straight photography, laddove si potrebbe dire che il secondo al riferimento impressionista sostituisce quello cubista.
Lo stile documentario viceversa ribalta questo principio e permette di uscire dalla discussione interna alla singola immagine per focalizzarsi sulla serie, in questo rivalutando appieno due caratteristiche proprie del mezzo fotografico, ossia la sua riproducibilità e la sua produttività. In pratica il fotografo fedele allo stile documentario rinuncia a imprimere una forte impronta estetica sulle singole fotografie per lavorare sul complesso dell’opera, costituita da serie di fotografie in dialogo tra di loro. Sarà la coerenza e la validità del progetto complessivo e non la bellezza di tante fotografie o la perizia tecnica dimostrata a decidere l’importanza e il valore di un fotografo.
Il libro ripercorre così le tappe fondamentali nella formazione dello stile documentario, che ha avuto in August Sander e Walker Evans i più autorevoli e consapevolmente coerenti epigoni. Considera e spiega il passaggio dalla fotografia come documento alla fotografia documentaria, attraverso un progressivo distacco di quello che sarà definito lo stile documentario dai fini strumentali, da considerazioni di tipo politico, sociale, ideale, propagandistico.
La definizione di questo stile e delle sue caratteristiche estetiche si deve ricercare nel dibattito storico e artistico degli anni che vanno dal 1920 al 1945. Si precisa così che lo stile documentario è il prodotto del particolare contesto storico, culturale e artistico in cui si è formato e non necessariamente l’unica possibilità fotografica per mostrare il mondo in maniera oggettiva. È stata la forza della riflessione filosofica alla base del lavoro di Evans, Sander e Abbott a determinare le caratteristiche metodologiche ed estetiche dello stile documentario, tanto da farle sembrare quasi necessarie.
Il libro è diviso in 5 capitoli e un epilogo. Impossibile da riassumere in poche righe il complesso intreccio di fenomeni culturali e storici che hanno visto nascere e definirsi uno stile documentario in contrapposizione dialettica con il movimento modernista nelle sue diverse declinazioni. Modernismo da cui inevitabilmente i documentaristi partono, ma che contestano per diversi aspetti, sostanziali e formali. Attraverso questa appassionante contesa e per approssimazioni successive si forma così uno stile che vivrà dopo la seconda guerra mondiale un lungo periodo di oblio, ripudiato in favore del reportage umanistico a causa della sua freddezza e oggettività, nonché di qualche punto di contatto con teorie pseudo-scientifiche e per certi versi nefaste come la fisiognomica. Dopo il nazismo qualsiasi movimento con pretese universalistiche e oggettive viene visto con sospetto e infatti proprio in Germania nasce il movimento della Subjektive Fotografie, in cui l’accento è programmaticamente posto sulla soggettività (relatività) dell’esperienza e della percezione della realtà.
Interessante poi notare come il movimento documentario costruisca a posteriori una propria tradizione, teorica e iconografica a cui riferirsi. In questo senso emblematica nella sua strumentalità la rivalutazione di Lewis Hine, che solo dal 1938 verrà definito un ispiratore dell’opera della FSA, mentre era, fino a quella data, del tutto dimenticato. Questa ricerca, anche ex post, di progenitori e modelli, dimostra il grande interesse per la storia della fotografia, disciplina che nasce contemporaneamente e nel dialogo con il movimento documentario: in questa ottica va riletta la riscoperta, auspicata e favorita da Berenice Abbott, delle opere di Atget e di Mathew Brady. Tra i tanti cambiamenti di prospettiva imputabili ai fautori dello stile documentario c’è anche il valore attribuito alle fotografie sulla base non solo delle proprie intrinseche qualità estetiche, ma sulla base della profondità e complessità del dibattito di cui sono oggetto, dei rimandi e degli approfondimenti degli studiosi che le hanno commentate.
Dal documento al documentario è intitolato il primo capitolo, che mostra come decisivo sia stato il passaggio da un fine meramente strumentale a uno imparziale (disinterested), e come l’approdo a questo realismo sia stato interno alla fotografia e non governato da obiettivi di tipo sociale, morale e politico. Storicamente Straight Photography e Neue Sehen sono i progenitori della fotografia documentaria, visto il loro rinnovato interesse per gli oggetti comuni e la rivalutazione di generi fotografici non artistici, come la fotografia scientifica, criminale, topografica, mentre la Neue Sachlichkeit con l’ambizioso progetto di Ranger-Patzsch focalizza la sua attenzione sulla serie. Intanto Sander e i progressisti di Colonia premono per la costruzione di un’arte collettiva e di un nuovo linguaggio visivo, mentre lo stesso Sander con Menschen des 20. Jahrhunderts individua la struttura della società e classifica gli individui secondo tipologie sociali, respingendo qualsiasi psicologismo nel ritratto. In America intanto Berenice Abbott porta ad esempio il lavoro su Parigi di Eugene Atget e intraprende il progetto, potenzialmente senza fine, di Changing New York, mentre Walker Evans dalla documentazione, nella periferia di Boston, delle case vittoriane in via di demolizione passa alla costruzione di un ritratto dell’America in American Photographs e alla determinazione di modalità di lavoro e di ripresa decisive per la definizione dello stile documentario.
Il libro si chiude con il declino e il superamento dello stile documentario: esigenze politiche e propagandistiche si fondono con l’idea di documentario di Walker Evans all’interno della Farm Security Administration, declinandosi però in un’impostazione sempre più attenta all’umano e al sociale che porterà al trionfo del fotogiornalismo umanista degli anni 50.
Federico Della Bella
Lo stile documentario in Fotografia
Da August Sander a Walker Evans 1920-1945
Olivier Lugon
Electa, 2008
456 pagine
35 euro
114 fotografie in bianco e nero