La Carta di Roma e La Repubblica di Bologna

  • firma: fotografia non firmata
  • fonte: Repubblica, edizione Bologna, 26/04/2011, pag XV

Concentriamoci per il momento su quest'immagine. Cosa vediamo? Almeno sei uomini seduti in un momento di relax su quella che si presume essere una panchina, oppure un muretto, in una via frequentata di una città. Dei cinque di cui si vede il volto, quattro hanno tratti somatici africani e, di questi, due – in particolare – hanno un'espressione piuttosto affabile, visto che sorridono a chi sta scattando la fotografia. L'abbigliamento di tutti e quattro pare decoroso, il volto non è emaciato né 'inquietante'. L'altro uomo, dai tratti europei, è seduto in mezzo a loro e non sembra particolarmente preoccupato dei suoi vicini.

Vista così, questa fotografia potrebbe far venire in mente, perché no, anche il concetto di integrazione. Non sappiamo niente della vita di queste quattro persone scure di pelle. Non sappiamo se sono nate in Italia o se vi si sono trasferite, e da quanto. Non sappiamo se sono disoccupate o se hanno un lavoro. Non sappiamo quali sono i valori in cui credono, le esperienze che hanno vissuto. Sappiamo solo che durante quello scatto erano tranquillamente sedute a godersi un attimo di riposo, con un aspetto dignitoso e (due di loro) un sorriso cordiale.

  • firma: fotografia non firmata
  • fonte: Repubblica, edizione Bologna, 26/04/2011, pag XV

Consideriamo ora il modo in cui è stata proposta questa immagine: vale a dire a corredo di un articolo - segnalatoci dalla nostra collega Patrizia Pulga, socia di "Fotografia & Informazione" - apparso a pag. XV di Repubblica (Cronaca di Bologna) del 26 aprile 2011. Un pezzo riguardante la recensione di un romanzo che ha per protagonisti alcuni immigrati, di cui sono raccontati guai ed eccessi. L'articolo è intitolato «Vite spericolate di stranieri, tra sesso, droga ed espedienti» e la didascalia che accompagna la fotografia recita: «La vita fatta di espedienti di chi vive ai margini». Nella 'finestrella' accanto all'immagine, inoltre, si legge: «Una lotta quotidiana per restare a galla col costante assillo di sbarcare il lunario».

 

C'è da chiedersi se chi ha optato per queste scelte, le riconfermerebbe mettendo però la sua faccia a disposizione del lettore. Immaginiamo, ovviamente, di no. Non solo perché riterrebbe lesivo per la propria dignità e reputazione essere associato a un articolo riguardante «vite spericolate, tra sesso, droga ed espedienti», ma anche perché, per illustrare l'immigrato, tra l'altro in lotta per la sopravvivenza, comodissima risulta evidentemente l'immagine in questione (ci permettiamo di sospettare che lo sarebbe anche se uno dei protagonisti del libro recensito non fosse del Burkina Faso...). «La percezione dello straniero nell'immaginario collettivo – fa presente, infatti, nel suo sito l'associazione REDANI (Rete della Diaspora Africana Nera in Italia) – non solo ha prodotto un vocabolario stereotipato (marocchino, vu cumprà, bingo-bongo, ecc) ma tende anche verso la pericolosa deriva dell’equazione immigrato uguale clandestino, irregolare uguale delinquente, nero uguale straniero».

 

L'articolo preso in considerazione offre molti spunti di riflessione riguardo agli stereotipi che accompagnano il tema dell'immigrazione nel sistema informativo italiano, contro cui da diversi anni stanno intervenendo associazioni ed enti vari. Stereotipi confermati dalla prima “Ricerca nazionale su immigrazione e asilo nei media italiani”, realizzata dalla Facoltà di Scienze della comunicazione dell'Università di Roma “La Sapienza” e i cui risultati sono stati presentati nel 2009. Nella sintesi del rapporto si fa presente che l’immagine dell’immigrazione fornita dai media analizzati (sette tg nazionali e un campione di quotidiani di diverso orientamento) è in gran parte «un fotogramma immobile ormai da trent’anni di un fenomeno che è invece in perenne movimento. I media […] hanno scelto un particolare, un aspetto da ingrandire e esaltare. È l’aspetto nero, tenebroso, presente in ogni fenomeno umano, quello problematico, quello legato al linguaggio del delitto, alle emozioni del dolore, alle paure dell’invasione e del degrado. Una gigantografia […] appiattita sulla dimensione dell’emergenza, della sicurezza e di una visione “naturalmente” problematica del fenomeno».

Un modo di presentare l'immigrazione che ha conseguenze anche sul piano deontologico: la ricerca ha evidenziato la tendenza a diffondere «informazioni potenzialmente lesive della dignità delle persone coinvolte direttamente, o meno, infatti di cronaca soprattutto quando i migranti sono i protagonisti del racconto».

 

Noi di “Fotografia & Informazione” rileggiamo sconsolati – ma non per questo scoraggiati – alcuni dei principi espressi nella “Carta dei Doveri del Giornalista” (Roma, luglio 1993):

 

«Il giornalista ha il dovere fondamentale di rispettare la persona, la sua dignità ed il suo diritto alla riservatezza e non discrimina mai nessuno per la sua razza, religione, sesso, condizioni fisiche o mentali, opinioni politiche»; «Il giornalista non deve omettere fatti o dettagli essenziali alla completa ricostruzione dell'avvenimento. I titoli, i sommari, le fotografie e le didascalie non devono travisare, né forzare il contenuto degli articoli o delle notizie»; il giornalista «non deve inoltre pubblicare immagini o fotografie […] comunque lesive della dignità della persona».

 

Rileggiamo anche la “Carta di Roma”, protocollo deontologico sull'informazione concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, approvato nel 2008 dalla Federazione Nazionale della Stampa Italiana e dal Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti, d’intesa con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati. Documento in cui i cronisti sono invitati, tra i vari punti, a «evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte» riguardo tali persone e a tutelare chi sceglie di parlare con i giornalisti, «adottando quelle accortezze in merito all’identità ed all’immagine che non consentano l’identificazione della persona, onde evitare di esporla a ritorsioni contro la stessa e i familiari [...]». Nella Carta, inoltre, CNOG e FNSI «richiamano l’attenzione di tutti i colleghi, e dei responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio; e di riflesso alla credibilità della intera categoria dei giornalisti».

 

È il caso, poi, di spendere alcune parole anche sul rispetto del diritto all'immagine. Il fotografo può fotografare in luoghi pubblici, infatti, ma le foto di una persona NON possono essere pubblicate senza il consenso dell'interessato, salvo le ipotesi previste dall'articolo 97 della legge sul diritto di autore (legge n. 633 del 1941), che riportiamo:

 

«Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico.

Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla riputazione od anche al decoro nella persona ritrattata».

 

Chi scrive, infine, desidera precisare di aver conosciuto numerosi immigrati, provenienti anche da stati africani, che, per diverse ragioni, hanno dovuto lasciare il Paese natio e rifarsi una nuova vita in Italia. Uomini e donne che hanno dovuto, all'arrivo, accettare lavori magari 'modesti', ma pur sempre onesti e dignitosi. Persone che non sono ricorse a chissà quale espediente illecito e che sono riuscite, piano piano, con tenacia e umiltà, a ottenere nuovi incarichi e a integrarsi pienamente. Bisognerà avvisarli di stare attenti a dove si siedono durante le camminate in città: non si sa mai.