Disabili senza volto

  • didascalia: Forlì: lezione di orticoltura. Obiettore Piero Testi zappa insieme a un giovane disabile.
  • firma: Stefano Carofei
  • fonte: Venerdì, 3 luglio 1998
Sul Venerdì di Repubblica del 3 luglio '98, un lungo servizio di Paola Zanuttini sull'obiezione di coscienza, "Il fronte degli obiettori", è accompagnato da numerose fotografie di Stefanio Carofei (Sintesi) scattate in centri per handicappati di Forlì e Palermo.
In ossequio alle norme della Carta di Treviso, i volti, o meglio gli occhi, dei disabili sono stati mascherati per renderli irriconoscibili, almeno parzialmente.
Ecco un esempio di come la meccanica applicazione di norme pensate per la tutela dei soggetti deboli, porti a volte a risultati controproducenti e, incerti casi, grotteschi.
Prendiamo la grande immagine di apertura del servizio. Vi si vede l'obiettore di coscienza che fissa sorridente l'obiettivo. Al suo fianco il giovane disabile si mette in posa, mostrando i muscoli. E' evidente che quest'ultimo è perfettamente cosciente della situazione e si offre spontaneamente all'obiettivo del fotografo, in una posa con cui tende ad affermare la propria forza, la propria capacità, a prescindere da qualsiasi handicap. "Non sono un 'soggetto debole', sono forte", sembra voler dire.
In questo contesto, mascherare il viso del ragazzo non significa tutelarlo. Significa, al contrario, evidenziare la sua inferiorità, vietargli il diritto di affermare la propria immagine. E significa anche deludere le sue aspettative: se mai dovesse vedere il servizio pubblicato sulla rivista, i suoi occhi mascherati, di fianco a quelli sorridenti dell'obiettore, starebbero lì a significare la sua diversità, il suo essere un soggetto privo di immagine, senza volto, appunto.
...dopodiché dico due cose sul servizio degli obiettori sul Venerdì: di quelle foto, realizzate nel corso di due anni di lavoro, io conservo tutte le liberatorie, che, trattandosi di disabili valgono come il due di coppe. E' palese la condivisione degli scopi e credo anche la "delicatezza" con la quale sono state scelte le inquadrature,in modo da non far emergere mostri, ho voluto insomma starci attento fin dalla riprese, e poi nella selezione del servizio, infine fornendo ampie e dettagliate diascalie. Il giornale, prima della pubblicazione, mi chiede le liberatorie, ma poi decide comunque, d' accordo con un legale, di mascherare i volti dei soggetti: e, malgrado le buone intenzioni sono emersi i "mostri". Ha completamente ragione il collega che ha scritto quel commento: un soggetto debole non ha avuto il diritto di affermare la propria forza! Malgrado la voglia di tutti gli artefici della rappresentazione (io compreso) di strillarla forte. Ne ricavo due considerazioni: 1) La legge sulla privacy, come molte altre, rischia di stravoilgere e talvolta di sovvertire il contenuto dell' informazione su cui si applica, soprattutto se si interpreta in senso biecamente burocratico. 2) Mettere quelle maschere agli handicappati ha significato nei fatti cancellarli dal loro contesto preservando forse più il lettore del giornale da un po di mal di stomaco che la loro identità di disabili. Sullo stesso tema lancio una provocazione di attualità: in un servizio sulla prostituzione di chi cancellereste la faccia ? del cliente o della prostituta? Stefano Carofei