La Repubblica, le Icone e le occasioni mancate

  • didascalia: © Nick Ut /Associated Press; sud Vietnam giugno 1972
  • fonte: La Repubblica 19 giugno 2004
Pensate (facendo le debite proporzioni, per carità!) ad un articolo incentrato sul sorriso di "Monna Lisa "e mai citare Leonardo Da Vinci (perché inutile, direte voi, va da sé l'attribuzione di quel dipinto a Leonardo!)
Nelle pagine de La Repubblica di sabato 19 giugno, dedicate alle fotografie divenute icone della storia del 20° secolo, non c'è traccia degli autori delle fotografie analizzate. Si parla esplicitamente dei soggetti ritratti, sconosciuti (la foto del ghetto di Varsavia o quella di piazza Tienanmen) o rintracciati (la bambina vietnamita), ma mai dell'autore o della storia di quella fotografia. Al solito, si ergono le fotografie come monumento (nelle pagine della Cultura!) ma mai le si tratta con rispetto nella vita quotidiana della messa in pagina. Sembra quasi un gioco di sublimazione. Ci viene da pensare che il rispetto e l'importanza della fotografia sia così lontana dalla mente del curatore delle pagine da pensare che forse non ci voglia un addetto ai lavori della comunicazione ma uno psicanalista esperto in rimozioni. Volete parlare di foto diventate particolarmente riconoscibili? Ne siamo ben felici. Ma una volta, almeno per una volta, vogliamo lasciar da parte la quotidiana sciatteria per cui il giornale è, ahinoi, strafamoso e dare un nome e un cognome a quei poveracci che la foto l' hanno fatta? Il fotorerporter che ritrae Kim Phuc, la bimba nuda che fugge da un bombardamento in Vietnam si chiama Nick Ut e all'epoca lavorava per Associated Press (anche la casa editrice Codice, che ha tradotto il lavoro di Denise Chong, che racconta la storia di quella foto e di quella bimba, non si preoccupa di citare l'autore, almeno in prima, in quarta e nei risvolti di copertina).
  • didascalia: © Jeff Widener / associated Press Pechino piazza Tienanmen 5 giugno 1989
  • fonte: La Repubblica 19 giugno 2004
La foto del ragazzo davanti ai carri armati utilizzata in questo caso è di Jeff Widener della Associated Press, ma ne esiste, con una inquadratura leggermente diversa anche una di Stuart Franklin dell'agenzia Magnum, mentre una terza versione è di Charles Cole della agenzia Sipa
Come la mettiamo? L'icona una e trina?
  • didascalia: © Stuart Frankin/Magnum piazza Tienanmen 5 giugno 1989
  • didascalia: © Charles Cole/Sipa piazza Tienanmen 5 giugno 1989
  • didascalia: © Jeff Widener; Associated Press piazza Tienanmen 5 giugno 1989
La foto del ghetto di Varsavia viene dall'archivio Magnum e per impaginarla è stata brutalmente tagliata a destra, a sinistra e in basso, rendendo difficoltoso anche seguire la spiegazione data nel racconto di Rymkiewcz. Per amore di completezza, nel 1982 il New York Times ha rintracciato un adulto, il dott. Tsvi Nussbaum, un medico abitante negli USA, che ha riconosciuto sé stesso nella foto e ha raccontato la sua odissea, attraverso il campo di concentramento di Bergen-Belsen, la liberazione e il ritorno a Varsavia nel '45, la fuga in Palestina (prima che si trasformasse in stato Israeliano), la successiva emigrazione negli USA. Da questo racconto, supportato da riscontri storici, è stato anche tratto un documentario.
  • fonte: La Repubblica 19 giugno 2004
  • didascalia: autore ignoto/Archivio Magnum
Insomma, come vedete anche in faccende più profonde, che richiederebbero maggiore cura (se non fotografica almeno filologica), la sciatteria del giornale prevale, la caduta nell'ovvio è la norma, la banalizzazione è lo stile (la foto di Capa dello sbarco in Normandia è sbagliata perché non è certo quella raffigurata nel giornale l'icona che ricorda il D-day ma quella che qui riportiamo).
  • didascalia: Il D-Day 1944 Robert Capa immortala la sequenza dello sbarco alleato in Normandia (6 giugno). Tra le fotografie simbolo quella del soldato che avanza dentro l’acqua.
  • fonte: La Repubblica 19 giugno 2004
E poi a ancora, come un riflesso pavloviano, il Gandhi della Burke-White; il Che Guevara di Korda, giù per li rami fino alla foto che incarna, più di altre, le torture nel carcere di Abu Ghraib, il cui autore, per chiudere e forse per avvalorare l'accessorietà del credito fotografico non è un fotoreporter. E su questo argomento torneremo con maggiore profondità.
E per concludere, ma perché soltanto gli intellettuali vengono citati o solle/citati a parlare di fotografia?
  • didascalia: © Robert Capa / Magnum. Omaha Beach 6 giugno 1944: i primi soldati americani arrivano all'alba sulla spiaggia normanna

Passi per gli studiosi del caso, ma siete proprio sicuri che gli addetti ai lavori non possano avere almeno ogni tanto qualcosa da dire sulle immagini ?

Ed ancora: provate ad usare la stessa disinvoltura che applicate quotidianamente sulle vostre pagine anche all'inserto del mercoledì del NYT (che invece è ben fatto e ben impaginato): provate a dimenticare nomi, didascalie e crediti sotto le fotografie. Immaginiamo già le urla ben distinte arrivare da Manhattan fino a piazza Indipendenza.
Quante pagine di istruzioni vi hanno fatto imparare a memoria e magari fatto firmare prima di concedervi quell'accordo?

  • didascalia: foto di Stephen Shames / Polaris per NYT
  • fonte: La Repubblica 16 giugno 2004

Non vi viene in mente il perché di tanta cura maniacale per le fotografie?
Cominciate a riflettere su questo, poi magari potrete occuparvi anche di icone!

  • didascalia: alto a sx: Carlos Villalon per NYT Stephen Shames / Polaris per NYT
  • fonte: La Repubblica 16 giugno 2004