Guerra e indipendenza dell'informazione

I media di tutto il mondo sono sempre più attenti alla crisi irachena. La guerra, che in cuor nostro vorremmo scongiurata da azioni politiche, dovrà essere coperta da giornalisti, fotoreporter, operatori tv. Nel web e nella stampa si riflette sulle problematiche dell'informazione in tempo di guerra e noi qui raccoglieremo criticamente quello che ci pare meriti di essere segnalato alla lettura. Avevamo iniziato con una breve news, Spese di guerra, tratta da PDN Newswire e continuiamo qui, riprendendo una piccola inchiesta condotta sempre da PDN a proposito dei campi di addestramento per giornalisti tenuti negli USA e ai problemi connessi all'inserimento degli operatori dell'informazione nell'esercito americano con tanto di divisa. Un'avvertenza: l'articolo è tradotto fedelmente ma sono stati fatti piccoli tagli non segnalati nel testo. Accesso all’informazione contro indipendenza delle fonti: considerazioni a proposito dei campi di addestramento per giornalisti. di Jay DeFoore
Titolo originale: Access Vs. Independence: Thoughts On Media Boot Camp Tratto da PDN Newswire 11 dic 2002 Con il prossimo conflitto alle porte, giornalisti e fotoreporter cominciano a chiedersi quale sarà l’atteggiamento dell’amministrazione Bush, nota per il suo stretto controllo che effettua sull’informazione. Alcuni indizi sono stati forniti a novembre dal Pentagono, che ha organizzato una serie di seminari e training per i media, a Quantico, Virginia, base dei Marines. A detta della maggior parte dei 50 partecipanti, più che una maggior conoscenza e rispetto per le regole militari, il problema è come possa funzionare il rapporto all’interno di una unità. Spencer Platt, fotoreporter di Getty news, ritiene che i fotoreporter saranno costretti a rinunciare ad un pò della loro autonomia: “quando sei con i militari, sei sottoposto a molte restrizioni, alla censura di ciò che fotografi e ciò che scrivi; hanno il diritto di farlo. D’altra parte però, questo ti permette un punto di osservazione privilegiato sulle vite dei soldati al fronte e sulla possibilità di raccontarle. Ciononostante, il giornalista deve mantenere un qualche distanza tra se e l’oggetto della propria indagine. Non è buona cosa essere appiattiti in un ruolo militare, quando sei con loro diventi più un bersaglio che un giornalista indipendente. Durante l’esercitazione tenuta a Novembre, trovare quella netta separazione non è stato semplice. Al loro arrivo i partecipanti sono stati forniti di equipaggiamento militare. Gerald Herbert del Washington Times ha dichiarato che, all’inizio erano tutti eccitati dalla faccenda, poi però diversi giornalisti hanno capito il pericolo che comportava indossare una uniforme. Durante l’addestramento, uno dei partecipanti presente ha scattato una fotografia di Pam Hess dell’agenzia UPI, vestita in uniforme e alle prese con un mitragliatore M16 mentre un marine la istruiva. Dopo che la foto è stata pubblicata sull’International Herald Tribune, diversi tra i giornalisti partecipanti al training hanno cominciato a domandarsi come sarebbero stati giudicati dagli altri. Alcuni erano preoccupati dal fatto che una immagine del genere avrebbe dato adito al sospetto che i giornalisti americani lavorino in comunione con il loro esercito, e questo, dopo la morte di Daniel Pearl del WSJ, può diventare molto più di un pericolo. Spencer Platt ritiene che in nessun modo ci si dovrebbe vestire come i militari.”se si consolida l’idea che giornalisti lavorano per i militari, il nostro lavoro diventerà sempre più complicato. L’ultimo giorno i partecipanti al campo si sono ritrovati ad essere i soggetti di una photo opportunity organizzata dai militari. Il pensiero di marciare per 5 miglia vestiti di tutto punto e sotto i riflettori che li riprendevano in ogni momento atterriva la maggior parte dei giornalisti “All’improvviso i media cercavano di raccontare i media stessi,” afferma Gerald Herbert, “la faccenda che mi tormentava era: quale è il limite tra l’osservare e il prendere parte? in un estremo tentativo di differenziarsi, molti giornalisti, per l’occasione fecero uso di scritte “stampa” fatte con nastro adesivo e c’è stato pure chi si è disegnato il simbolo della pace sul giubbetto. Come si fa a mantenere le distanze e a differenziarsi in una simile situazione?. Ron Haviv di Newsweek afferma che se sei con i militari è evidente che non potrai indossare una giacca a vento rossa, anche se il portavoce del Pentagono afferma che la decisione ultima sulle regole da rispettare è lasciata ai comandanti delle unità militari nelle quali i giornalisti operano, ferma restando la necessità di garantire sicurezza a tutti. Per evitare queste commistioni, alcuni giornali, come Newsweek hanno ritenuto istruire i propri inviati utilizzando compagnie private. AKE limited, Bruhn New Tech e Centurion sono tre compagnie indipendenti messe in piedi da ex Royal Marines ed offrono corsi di comportamento in ambienti ostili. Paul Rees afferma che la sua compagnia ha istruito più di 9000 giornalisti . Tutte e tre le compagnie sono riconosciute dal Rory Peck Trust ,una fondazione che si occupa di finanziare il training per i freelance che non dispongono di mezzi e supporto economico dei giornali. (altro esempio di civiltà giornalistica, che l’Italia ignora. ndt, ) Tina Carr, che dirige la fondazione, dice che i fondi sono limitati, ma non dispera di trovare finanziamenti. L’industria dei media deve condividere e prendersi carico della sicurezza dei propri lavoratori, sopratutto in questi anni in cui sempre di più capita di essere in prima linea . Come molte altre testate che si preparano a coprire la guerra in Iraq, il L.A Times non si è dato la sola opzione di mandare i propri giornalisti con l’esercito. Colin Crawford afferma che se e quando scoppierà il conflitto, le opzioni per coprirlo saranno diverse, dall’entrare clandestinamente al passare attraverso il Kurdistan. “non sono di quelli che infila i propri uomini in una unità militare e poi afferma di aver sistemato le cose per coprire esaurientemente il conflitto.” Le società private che si ocupano dell'addestramento di giornalisti in situazioni pericolose www.centurion-riskservices.co.uk www.rorypecktrust.org In Italia dell’addestramento dei giornalisti alle prese con le difficoltà anche fisiche di una guerra ne ha parlato Marco Cicala, foto di Marco Beck Peccoz, I giornalisti vanno a scuola. Di sopravvivenza; il Venerdì 31 gen 2003. Sul problema dell’inserimento dei giornalisti nei reparti militari dell’esercito US parla Vittorio Zucconi: L’esercito arruola i giornalisti, a rischio la verità sulla guerra, in la Repubblica, 12 feb 2003. Più in generale, di censura e informazione in tempo di guerra - sempre negli USA - tratta Gianni Riotta, Patria sacra per un’America per l’altra è sacra la notizia, in Corriere della sera 20 feb 2003. Ancora di trainng per i giornalisti inviati in guerra scrive Ennio Caretto in Full metal reporter su io donna del 1 marzo 2003. Interessante il box su Il Decalogo del bravo inviato in Iraq. "Le truppe americane imporranno ai media al loro seguito, anche stranieri, una sorta di Decalogo del giornalista «per una buona gestione dlle notizie» che è ai limiti della censura. (...) E, naturalmente, sarà loro vietato elencare i morti e i feriti prima che le famiglie vengano avvertite dai rispettivi comandi militari. «Una norma sacrosanta» afferma il direttore dei telegiornali della Cbs Dan Rather, un veterano della guera del Vietnam. «L'unica veramente ragionevole»". Vedi anche in glossario la voce Embedded