Il fotogiornalismo nell’epoca del “cittadino giornalista”

La “rivoluzione” è iniziata ai tempi della diffusione di immagini delle torture del carcere di Abu Ghraib, nell’aprile 2004, ma la sua incontenibile ampiezza e diffusione è diventata chiara a tutti in occasione della tragedia dello Tsunami del 26 dicembre 2004 e, ancora di più, del luglio 2005, con la catena di attentati terroristici di Londra. Anche l’uragano Katrina, tra la fine di agosto e i primi di settembre 2005 ha consolidato il fenomeno. Qualche profetico commentatore l’aveva già prevista un anno prima, la “rivoluzione” (Evan Nisselson nel maggio 2003 su www.digitaljournalist.org ).

Stiamo parlando del fenomeno, in rapidissima espansione, delle fotografie di cronaca scattate da privati cittadini e poi inviate a siti web, a blog personali, o ai giornali on line e utilizzate poi dai principali media, sia cartacei, sia in internet.

L’apice di questo fenomeno è stato raggiunto, come dicevamo, proprio in occasione degli attentati dello scorso 7 luglio: il sito del New York Times, in quell’occasione, ha utilizzato per molte ore in home-page la foto scattata con un cellulare da un passeggero del metrò coinvolto nell’attentato. Il giorno successivo, con una scelta destinta a rimanere negli annali del giornalismo, i due principali quotidiani americani (New York Times e Washington Post), imitati da alcuni altri, hanno aperto in prima con una foto fornita da un privato cittadino, Alexander Chadwick, che aveva assistito personalmente agli attentati e aveva voluto contribuire con la registrazione della propria testimonianza visiva al racconto di quei drammatici eventi.

La rapida diffusione di cellulari dotati di fotocamera (le previsioni degli analisti del settore ipotizzano un rapporto di 4:1 di vendite di videofonini rispetto a quelle di fotocamere digitali) rende di fatto ogni persona che ne sia in possesso un potenziale “reporter visuale” di qualunque evento, inclusi quelli degni dell’attenzione da parte dei media. Questa nuova fonte di immagini di cronaca, destinata a crescere quantitativamente nel prossimo futuro, pone alcune questioni sulle quali sarà bene iniziare a discutere fin da ora. Sono questioni che spaziano in molti campi, e che chiamano in causa, in ordine sparso: la credibilità e l’affidabilità dei media, i principi etici, il ruolo del fotogiornalismo inteso come professione esercitata da specialisti e, non da ultimo, le questioni economiche connesse con l’utilizzo di contenuti di valore giornalistico da parte di organi ufficiali di informazione (a pagamento). Cercheremo di tracciare i contorni di queste questioni, consapevoli del fatto che, come ogni novità tecnologica ha sempre implicato, gli effetti sociali tendono a seguire con qualche ritardo la disponibilità dei nuovi strumenti e una lucida comprensione degli stessi chiede ancora maggiore tempo e dunque è ancora presto per “fare il quadro” della situazione.

Questioni di deontologia
Cosa significa, per un giornale, utilizzare delle immagini la cui provenienza è, nel migliore dei casi, incerta? Significa, prima di tutto, saltare a pié pari tutti i codici deontologici che nel corso degli anni le associazioni professionali di giornalisti, gli editori di giornali e periodici, le testate stesse si sono dati, affinando via via gli strumenti di controllo e di autodisciplina che garantiscono al lettore il rispetto dei criteri di accuratezza, indipendenza, affidabilità e trasparenza sui quali il buon giornalismo ha costruito, non senza momenti di difficoltà e pesanti scivoloni, la propria credibilità. Come fare, all’interno di una redazione, a valutare l’attendibilità e la genuinità di un’immagine trovata su un blog o sul sito personale di uno sconosciuto? Quali criteri di verifica e di selezione adottare prima di assumersi la responsabilità di diffondere sui media, inclusi quelli con più lunga tradizione e storia, queste testimonianze visive? Quali conseguenze potrebbe avere, sia per quanto riguarda la rispettabilità della testata, sia per le ricadute in termini di diffusione dell’informazione e conseguente formazione dell’opinione pubblica, la pubblicazione di immagini false o manipolate? E ancora: non c’è il pericolo di incoraggiare i cittadini a esporsi a rischi inutili al solo fine di ottenere a tutti i costi “lo scoop”?

Questioni di etica
Dietro ad ogni immagine giornalistica pubblicata dai media dovrebbero esserci non soltanto perizia tecnica e fiuto da professionista della notizia, ma anche e soprattutto sensibilità, senso di responsabilità, rispetto per la dignità delle persone fotografate e valutazioni di opportunità e rispetto anche nei confronti dei lettori. Se anche i redattori delle testate giornalistiche adottano tutte le necessarie precauzioni per valutare e selezionare il materiale visivo che giunge da più fonti esterne, rimane il dubbio sulla liceità di utilizzare alcune immagini, soprattutto quelle che rappresentano scene drammatiche e/o cadaveri, soprattutto quando non si conoscono le condizioni e i modi che hanno portato alla realizzazione delle stesse.

Questioni di professionalità
Le immagini scattate con le fotocamere incorporate nei telefoni cellulari o nei palmari hanno una scarsa risoluzione, nella maggior parte dei casi, salvo quelle ottenute da alcuni apparecchi di ultimissima generazione, da 2 megapixel in su. La qualità, misurata non soltanto in numero di pixel, ma valutata anche in termini di contrasto, ricchezza cromatica, precisione di messa a fuoco e composizione dell’immagine, è certamente un fattore che rischia di diventare secondario quando ciò che colpisce di un’immagine, o che la rende “imperdibile” è l’unicità della testimonianza, come nel caso delle fotografie degli attentati di Londra del 7 luglio. Quanto sono adattabili gli standard di qualità dei giornali alle nuove foto sgranate e mosse degli “snapperazzi”, si chiedono alcuni commentatori? Saranno i lettori contenti di vedere immagini a sette colonne tratte da un file di 32 kbytes?

Questioni economiche
Finché le foto finivano sui siti personali o sui blog, non c’erano transazioni economiche coinvolte nello scambio e nella pubblicazione delle immagini scattate dagli appassionati delle immagini in presa diretta. Ma da qualche mese la faccenda è radicalmente cambiata. I giornali, le emittenti radio-televisive e le loro versioni on-line sono stati tra i primi, in occasione di fatti di grande risonanza mondiale, ad incoraggiare i “cittadini-reporter” ad inviare i propri materiali visivi per poterli pubblicare e dare così spazio ad una inconsueta forma di “giornalismo diffuso”, cioè prodotto dal basso, anziché da un’elite di professionisti. Si poteva facilmente immaginare che prima o poi la cosa non sarebbe passata inosservata. E infatti qualche settimana fa è nata una nuova agenzia on-line che si chiama “Scoopt” che si propone come intermediaria tra i “cittadini fotoreporter” e le testate tradizionali (www.scoopt.com). Nulla è dovuto all’agenzia per iscriversi e poter mandare le proprie foto, di cui scoopt diventa per tre mesi distributrice in esclusiva mondiale. Se l’agenzia riesce a vendere qualche immagine i diritti pagati dal giornale vengono divisi a metà: 50% per l’agenzia e 50% per il fotografo. Nei giorni scorsi l’agenzia ha annunciato la vendita (non è stata precisata la cifra) al Bristol Evening Post della prima immagine inviata da un suo associato. Gli utenti registrati, sostengono, sono già 1200.

Fino a poco tempo fa i media ufficiali erano pronti a chiedere il contributo dei cittadini nel portare le proprie testimonianze (anche visive) da luoghi di stretta attualità, ma raramente (mai?) hanno preso in considerazione l’ipotesi di compensare economicamente gli autori delle testimonanze. Quali prezzi saranno disposte a pagare le testate giornalistiche per queste immagini “colte al volo” dai passanti? Come reagiranno le associazioni professionali nei confronti di questa nuova concorrenza, inaspettata e imprevedibile, veloce e sfuggente? Per quanto tempo assisteremo ancora a quello che è stato definito “piccolo cannibalismo” (Massimo Mantellini su Punto Informatico dell’ 11/07/05) da parte dei grandi media nei confronti del giornalismo partecipativo? Alcuni di essi hanno creato interessanti collegamenti con i blog ritenuti credibili e “seri”, come il quotidiano inglese Guardian e la BBC, mentre altri (Corriere della Sera e Repubblica in testa) hanno meno elegantemente chiesto in maniera piuttosto spiccia ai propri lettori: “mandateci le vostre foto!” E le hanno anche pubblicate con grande risalto (senza firmarle e, presumibilmente, a costo zero).

Come si vede, tanti interrogativi, tanti temi, tante questioni ma poche risposte definitive. Noi continueremo a seguirne gli sviluppi: siamo soltanto all’inizio.

Marco Capovilla