Le immagini e la dignità

Dunque, ci sono. Eluana Englaro, trentasette anni, poche ore prima della morte, diciassette anni dopo l’incidente che l’ha catapultata in uno stato vegetativo perenne, è stata fotografata. Se ci sono, comunque le immagini, per scelta del padre di Eluana, non si vedono. Sono invisibili.
L’immagine fotografica della ragazza che ha forato il nostro immaginario è la stessa insediatasi stabilmente con eco potente, nelle prime pagine dei giornali, in televisione, nella rete. Il ritratto di una donna giovanissima, nel pieno delle sue funzioni vitali, sorridente. L’immagine – si sa, ma forse va ricordato – resta, l’originale svanisce. Nel caso del corpo e del volto umano l’originale tende naturalmente a modificarsi, a invecchiare, fino a sparire nella morte. Non a caso, per alcune culture, l’esorcismo finale consisteva proprio nella maschera funeraria che sopravvive alla morte. La maschera dell’uomo, della donna, è in transito e in divenire, a un certo punto inesorabilmente deperisce. Eppure una partita sociale e politica ai bordi della morte si è giocata sullo sfondo di un immaginario collettivo condiviso di bellezza e giovinezza.
Toccando la morte fino al guardarla per troppo tempo faccia a faccia, abbracciando la malattia per diciassette anni, accompagnando la trasformazione del corpo della figlia e lottando legalmente fino in fondo, Beppino (per gli amici, ma anche per la coscienza mediale) ha scelto di mostrare l’integrità della bellezza di Eluana ferma a diciassette anni prima. Noi tutti ci abbiamo creduto. Il rispetto del padre non ha tenuto conto – o ha deliberatamente scelto tenendolo in conto – dell’enorme potenza oltre che della ridondanza dei media di massa e di una bellezza costruita fotograficamente che vince e si attesta distante dalla realtà.

Sono passati diciassette anni da quella foto di Eluana. Viva, serena, vitale. E in questi diciassette anni chi ha vissuto la vita della carne di Eluana? Chi ha toccato e visto, quanti hanno avuto il coraggio di ingaggiare il corpo a corpo con la malattia? Venga e veda, caro signor primo ministro. La trasformazione naturale, senza l’incidente, senza la durissima malattia, avrebbe mostrato una bella donna matura, di 37 anni.
L’immagine resta ferma al 1991. Sono trascorsi 18 anni. Il circo collettivo dei media ha offerto l’unica esperienza possibile di Eluana attraverso l’immagine: bellezza tangibile accanto alla tragedia invisibile. Tra Silvio e Walter, tra Totti e Ilary, ma anche Bruno (Vespa) e Maria (De Filippi), è scivolata la fotografia di una bella sconosciuta che ha catturato la nostra attenzione con il sorriso e le allucinanti narrazioni costruite dai media.
Il padre di Eluana – si è scritto – ha rifiutato l’offerta di Oliviero Toscani che ha richiesto di fotografarla. Lo ha affermato il neurologo Carlo Alberto Defanti, che ha avuto in cura Eluana sin dal principio del suo stato vegetativo persistente. “Eluana, ha detto Defanti, "non aveva più nulla dell'aspetto entrato nell'immaginario collettivo. Negli ultimi giorni ci siamo addirittura chiesti se non fosse opportuno mostrare delle foto attuali di Eluana. Le cose sono però poi precipitate prima di quanto credessimo". In conclusione: "in ogni caso, Beppino Englaro aveva deciso di non farlo per rispettare fino alla fine la dignità della figlia".
L’opinione pubblica crede e continua a credere all’immagine della ragazza bella e sorridente, distante dalle condizioni reali delle ultime ore di esperienza e di vita di Eluana. La fotografia mostra nascondendo. Ritaglia e ingrandisce, ruba e ricontestualizza, nega e costruisce, promuove e pubblicizza. L’immagine di Eluana che continua a sorridere toglie forza alle parole pronunciate da chiunque.
In facebook, chi ha scelto di protestare contro Berlusconi, il governo, i media, la chiesa, ha oscurato il proprio ritratto del profilo. Ha nascosto la fotografia biglietto da visita. L’icona-identità che ogni iscritto al social network ha scelto per presentarsi, farsi riconoscere, immaginarsi, è diventato un’assenza, un rettangolo nero o blu. Torniamo al buio con quell’immagine, lasciamola esplodere nel silenzio, nella testimonianza di chi ha toccato con mano e con occhi lo stravolgimento della malattia, il volto che si disfa, oltre che il corpo immobile e spento.

Giovanni Fiorentino