E i giornali stanno a guardare

  • didascalia: Women in Tehran shout from a rooftop in protest against the regime on 24 June in Tehran.
  • firma: Pietro Masturzo, Italy.
  • fonte: World Press Photo
  • titolo articolo: From the rooftops of Tehran, June

Dieci lavori e 9 fotoreporter premiati quest'anno nell'edizione 2009 del World Press Photo.

Ci eravamo abituati ad una media che andava da 4 a 6 ogni anno ma che comunque ci dava l'idea dello stato di salute del fotogiornalismo italiano, avere la piacevole e tutto sommato inaspettata sorpresa di vedere piovere un così gran numero di riconoscimenti e, cosa non da poco, vedere il World Press Photo of the Year assegnato ad un collega italiano ci fa un piacere immenso e ci dice che il fotogiornalismo italiano mantiene una qualità superba sullo scenario internazionale.

A dispetto della crisi dell'editoria e contro lo stato di disinteresse dei giornali italiani e degli addetti ai lavori che adesso di certo si spenderanno in parole di merito; di certo La Repubblica vi dedicherà un paginone (con le immagini gratuite messe a disposizione del WPP, stavolta almeno firmate e munite di esauriente didascalia) e come lui faranno di certo gli altri, salvo poi tornare al loro lavoro di yesmen e alla ricerca di attricette e culi scoperti, alla pubblicazione di foto senza padre né madre, alle ultime imprese di Amy Whinehouse, oppure ad occuparsi di fotografia per dire che è morta o che è falsa come Giuda e che è tutta colpa di Photoshop. Per fortuna sappiamo che non è così, il problema (o meglio la fortuna) è che lo dicono altri e ben titolati.

È il rumore di fondo che ci disturba, questo salire sul carro del vincitore, quantunque per un giorno, di nani e ballerine che il giorno dopo torneranno alle loro faticose attività senza che nemmeno il pensiero sfiori i loro assorti neuroni. La stampa italiana da anni ha deciso che non ha bisogno dell'eccellenza, almeno tacesse per sempre.

Si dice che non ci sono abbastanza storie italiane tra i premi, ma se i fotografi molto spesso guardano altrove è per due motivi: ai giornali italiani le storie italiane non interessano, per lo stesso motivo per il quale si preferisce pubblicare gossip, architettura e casomai i guai altrui. D'altro canto all'estero l'italia interessa soltanto per il Papa, la Toscana ed il nostro presidente del consiglio quando esterna o si porta le puttane in casa, mentre invece bisogna poter proporre le proprie produzioni sui tavoli stranieri per poter diventare bravi e grandi e non morir di fame.

D'altra parte non è vero come sostiene il mio amico e collega Marco Capovilla che non si producano le storie dell'Italia, semplicemente rimangono nei cassetti o prendono altre strade che non quelle dell'editoria: in quest'ultimo anno ho potuto vedere una gran quantità di pregevoli lavori che hanno indagato le pieghe più sconvenienti della società italiana. Se poi si guardano i lavori premiati c'è n'è forse uno commissionato? E allora?

Potrei continuare per ore, chiedere conto ed esempio di quanti pubblicati e quanti assignment sull'Aquila e recentemente su Haiti, ma diventereri banale e ripetitivo. Si dice: la crisi dell'editoria; dieci premi ed un WPP ci dicono, senza ombra di dubbio una cosa: che il buon fotogiornalismo e l'editoria italiana vivono in due mondi separati ed autonomi che solo per la buona volontà di alcuni operatori ogni tanto si toccano.

Al cospetto di queste avversità quei premi per me valgono il doppio: un grazie ai colleghi che li hanno meritati