Il 12 gennaio di quest’anno, contemporaneamente al devastante sisma che ha travolto lo stato e la popolazione di Haiti causando oltre duecentomila morti e coinvolgendo 4 milioni di persone, tra le quali mezzo milione circa rimaste senza tetto, si è svolta anche una nuova puntata del serial planetario “le difficoltà del fotogiornalismo ai tempi di internet”.
I fatti sono abbastanza semplicemente spiegati in almeno una dozzina di siti, tra cui: PDN , BJP , Lightstalkers , 100eyes e altri.
Un fotogiornalista haitiano di lunga e significativa esperienza, già corrispondente di AP, con lunghi periodi di permanenza e lavoro all’estero, soprattutto negli USA, si trova quel giorno a Port Au Prince, la sua città, proprio quando il terremoto squassa gli edifici della capitale haitiana. Esce nelle strade, fotografa, riprende, documenta, fa insomma quello che da decenni è il suo lavoro, il fotoreporter, pur essendosi più concentrato negli ultimi tempi su lavori fotografici di maggiore respiro e durata. Si pone però da subito un problema: come far arrivare al "mondo esterno" le sue foto, in una situazione in cui l’energia elettrica e la maggior parte delle comunicazioni sono già saltate?
“Con l'aiuto della figlia di un suo amico — scrive PDN — carica su Twitter, nel giro di un paio di ore dalla tragedia, 13 immagini in alta risoluzione utilizzando l'unica connessione internet disponibile in un hotel” non colpito dal sisma. In realtà, e non è un dettaglio da poco, leggendo con cura tutti i documenti disponibili sui vari siti da noi consultati, le foto vengono caricate sul sito TwitPic, e linkate dall’account PhotoMorel appositamente creato quel pomeriggio su Twitter. La speranza è, secondo la testimonianza del fotografo, quella di “informare il mondo del disastro avvenuto e di poter ricevere riconoscimenti economici e professionali per aver reso pubbliche le notizie da Haiti ben prima che le altre agenzie lo facessero."
Le cose, come vedremo, andranno invece diversamente.
Un ladro di diritti d’autore, tale Lisandro Suero, dalla vicina Repubblica Domenicana, con una mossa tanto astuta quanto penalmente perseguibile si attribuisce la paternità delle fotografie e dopo avere aperto a sua volta un account su Twitter e caricato le foto rubate su TwitPic, reindirizza al proprio recapito telefonico le richieste di contatto per negoziare i diritti di riproduzione. Un caso plateale di plagio.
A questo punto della storia si inserisce l’agenzia internazionale Agence France Presse (AFP), che, pur non avendo ricevuto risposta dopo vari tentativi di entrare in contatto con Morel, decide comunque di inserire nei propri circuiti distributivi le tredici foto, attribuendole ora a Morel, ora a Suero. Le foto di conseguenza, a causa della doppia paternità dovuta al piano criminale messo in atto da Lisandro Suero, saranno firmate su diverse testate ora con il nome di Morel, ora con quello di Suero, quasi sempre accompagnati dal nome dell’agenzia AFP e, in qualche caso, anche dell’agenzia Getty, partner di AFP per la distribuzione in molti paesi.
Solo alcune testate americane fanno in tempo a dare la notizia il giorno successivo, il 13, mentre, a causa del fuso orario (il sisma è infatti iniziato alle 23 circa, ora europea), la maggior parte dei quotidiani europei e asiatici aprono le prime pagine con Haiti soltanto il giorno 14 gennaio.
Molte testate hanno utilizzato le foto di Morel come apertura in prima pagina: una in particolare, quella di una donna con il volto sconvolto che, coperta di calcinacci, emerge dalle macerie. Ma nel frattempo nessuna negoziazione è ancora avvenuta tra l’autore delle foto e l’agenzia che le sta illegittimamente distribuendo.
Morel ha invece, da sei anni, un contratto con Corbis, e fin dal 13 gennaio, dopo aver preso contatto con Corbis, invia le sue foto a quest’ultima agenzia, specificando di non aver mai dato alcun mandato né a AFP, né tantomeno a Getty, di distribuire le proprie immagini.
Nei giorni successivi, soprattutto in seguito all’avvenuto contatto di Morel con Corbis, le due agenzie AFP e Getty ricevono da Corbis una richiesta perentoria di ritirare le foto dai circuiti in cui sono state inserite.
Come risultato AFP invia una “Kill letter”, in cui si motiva il ritiro forzoso con una non meglio precisata “disputa sul copyright”. Nonostante ciò, non tutti i clienti sembrano darsene cura e soprattutto AFP trascura di chiedere la cancellazione delle foto con il credit “Lisandro Suero/AFP”.
Risultato: anche oggi, dopo mesi, se si fa una ricerca su Google Images, si possono ancora trovare centinaia di siti in cui compaiono le foto di Morel attribuite a Suero e a AFP/Getty.
In breve, la disputa riguarda unicamente le prime 13 fotografie, che tuttavia nel volgere di poche ore sono state irradiate ai quattro angoli del mondo e le cui sorti sono difficili da monitorare. Le cose procedono con ripetute richieste di indennizzo da parte dei legali di Morel ad AFP fino a quando, il 26 marzo, a sorpresa, AFP contrattacca sul piano legale , da un lato sostenendo che le accuse di aver infranto il copyright di Morel sono infondate, dall’altro accusando a sua volta Morel di aver messo in atto una campagna denigratoria nei confronti di AFP e perciò accusandolo di diffamazione.
A questo atto formale, depositato al Southern District del Tribunale di New York, risponde qualche settimana dopo, il 21 aprile, l’avvocato difensore di Morel, con una lunga e dettagliatissima memoria difensiva .
In essa vengono evidenziate le debolezze delle argomentazioni di AFP, anche basate su una affrettata lettura, da parte di AFP, dei termini di licenza sia di TwitPic, sia di Twitter. Infatti, secondo il parere sia della difesa di Morel, sia di alcuni studiosi di diritto del web (tra cui: techdirt , dankennedy , ericgoldman ) i due siti hanno diversi contratti di utilizzo (Terms of Use) e comunque i diritti di riutilizzo di quanto postato sui due siti è, a detta di tutti, relativo a ciò che viene considerato l’”ecosistema Twitter”, cioè la galassia di riferimento di Twitter. Mentre si esclude ogni interpretazione che preveda la ridistribuzione dei contenuti al di fuori di Twitter. A questo si aggiunga l’aggravante del chiaro scopo di lucro di AFP/Getty.
Non siamo degli esperti di diritto e perciò ci limitiamo qui a riferire le posizioni differenti dei due contendenti. Ma ci permettiamo anche qualche valutazione, in attesa di sapere cosa decideranno il 17 giugno prossimo i giudici di New York.
In realtà la prima riflessione riguarda la velocità della giustizia negli USA, almeno in questo caso: il 13 gennaio avvengono i fatti oggetto di disputa, il 26 marzo una parte cita in giudizio l’altra, il 21 aprile la parte accusata si difende, il 17 giugno si presenteranno entrambe davanti al giudice. Se pensiamo che in Italia è stato sufficiente abbassare la prescrizione di certi reati a 10 anni per mandare assolti per decorrenza dei termini numerosissimi colpevoli, viene da piangere.
Nel merito, ci sorge spontanea questa prima domanda: tra le tante mosse che Daniel Morel poteva fare quella sera del 12 gennaio, pur nell’inferno in cui si trovava, tra case che crollavano, gente che moriva e corrente elettrica che se ne andava, potete immaginarne una peggiore che postare le sue foto su TwitPic? Io personalmente no. Questo rispettabile collega sessantenne ha un’esperienza ultradecennale con le wire agencies internazionali, conosce il mercato, e dunque sa certamente che c’è un assioma, o meglio un detto, noto nel mondo del commercio delle immagini, che in italiano suona più o meno così: “Articolo quinto: chi ha le foto in mano ha vinto!”.
Io l’ho imparato venticinque anni fa, quando nei giornali si utilizzavano carte politenate e diapositive e mai l’ho scordato in tutto questo tempo. E’ ancora valido, ma adesso andrebbe attualizzato, e dunque reso ancora più vasto e profondo, includendo le considerazioni relative alla smaterializzazione delle foto digitali: “Articolo quinto: chi ha una copia delle foto sul computer ha vinto”. E dunque, la domanda che viene spontanea è, nuovamente: perché mai caricarle su TwitPic? Un collega francese cui ho raccontato la vicenda ha tagliato corto: “Naïve”.
Seconda riflessione, strettamente connessa alla prima: davvero ci si può, nel 2010, immaginare che nella quotidiana battaglia per le primizie, gli scoop, nel mercato giornalistico globale ci sia ancora spazio per valutazioni non dico di tipo etico in senso stretto, ma anche solo di correttezza e di fair play? Sì, è pur vero che, a differenza di AFP, a quanto risulta AP (Associated Press) dopo aver infruttuosamente contattato Morel, non avendo ricevuto risposta, ha preferito soprassedere all’eventuale mossa che invece AFP ha intrapreso, apparentemente senza troppe remore.
Terza riflessione: AFP capisce molto presto (il giorno dopo) di essersi cacciata in un caso plateale di violazione del copyright, ma forse si illude che la appartenenza geografica del fotografo ad un paese lontano, sinistrato e forse anche poco attrezzato per quanto riguarda le conoscenze delle leggi sul diritto d’autore sia motivo sufficiente per sperare nell’impunità. Dilettanti, verrebbe qui da dire.
Quarta riflessione: la disputa legale, che si baserà su articoletti, commi e codicilli scritti in carattere lillipuziano a pagina 18 del contratto d’uso (quelli che tutti noi solitamente evitiamo di leggere limitandoci a cliccare su “Accetto”) è un tipico epilogo che riguarda, sempre più spesso, giochi più grandi di noi. Mi spiego meglio: grosse aziende nordamericane con bilanci pari a un medio stato africano stanno sempre più spesso proponendo su internet delle piattaforme chiamate social network che permettono a ciascuno di noi di entrare in contatto con quattro amici, trenta conoscenti, mille amici dei conoscenti e un milione di conoscenti dei conoscenti. Ci hanno illuso che si tratti di creare delle autentiche relazioni con altri esseri umani con cui abbiamo qualche cosa in comune. C’è cascato anche il buon Daniel Morel. Come dice lui stesso: “Ho caricato quelle foto con l’idea di informare il mondo del disastro avvenuto e di poter ricevere riconoscimenti economici e professionali per aver reso pubbliche le notizie da Haiti ben prima che le altre agenzie lo facessero.” Beata innocenza!, verrebbe da commentare.
Dal punto di vista economico, la faccenda può essere limitata tra due estremi opposti: da un lato, nel caso peggiore per Daniel Morel, un rimborso forfettario di soli 200 dollari a foto, per ognuna delle 13 fotografie oggetto di questa causa. Oppure, nel caso peggiore per AFP, un rimborso totale di circa due milioni di dollari. Tra questi due estremi, invero un po’ troppo distanti, si collocherà il pronunciamento della corte di New York. A risentirci con l’esito della sentenza dopo il 17 giugno.
Marco Capovilla
P.S. Se la questione non fosse in verità piuttosto seria, verrebbe scherzosamente da notare, per inciso, che l'abitudine dei nostri quotidiani nazionali di non firmare le foto ha avuto, in questo caso, un esito positivo, nel senso che non attribuendo la foto a nessuno, non hanno rischiato di attribuirla nemmeno al ladro di copyright!