A novembre - dopo la pubblicazione delle fotografie degli appunti di Berlusconi, del bigliettino che Enrico Letta aveva inviato al Presidente del Consiglio Mario Monti, del cellulare di Denis Verdini con le ultime chiamate effettuate - l'Ufficio di Presidenza della Camera dei deputati aveva emanato una delibera (chiamata dalla stampa "anti zoom") con la quale intendeva proibire l'uso di teleobiettivi e zoom ai fotografi parlamentari, per evitare realizzazione e pubblicazione di immagini che rivelassero comunicazioni telefoniche, telematiche ed epistolari dei deputati.
Successivamente lo stesso Ufficio - dopo una riunione con il presidente dell'Ordine dei Giornalisti Enzo Iacopino, quello della Federazione Nazionale Stampa Italiana Roberto Natale e quello dell'Associazione Stampa Parlamentare Pierluca Terzulli - ha sospeso tale delibera e ha accettato la proposta di creazione di un'Associazione Fotografi Parlamentari che avesse il compito di emanare un codice di autoregolamentazione.
Tutto ciò è avvenuto puntualmente il 9 gennaio scorso. Il nuovo codice di autoregolamentazione impegna i fotografi parlamentari a:
1) non diffondere fotografie e riprese visive atte a rilevare comunicazioni telefoniche, telematiche e epistolari di parlamentari e di membri del Governo presenti in Aula che evidenziano un carattere esclusivamente privato delle stesse;
2) non diffondere fotografie e riprese visive non essenziali per l’esercizio del diritto di cronaca relativa all’attualità e/o allo svolgimento dei lavori in Aula;
3) non utilizzare tecniche di rielaborazione di riprese fotografiche e visive che comportino un danno alla dignità dei parlamentari e dei membri del Governo presenti in Aula e al diritto alla riservatezza di cui ai punti precedenti.
A chi ha comprensibilmente protestato - dicendo che si tratta di una forma di autocensura, che si vuole creare una casta (fotografi) nella casta (parlamentari) e che così facendo il controllore e il controllato sono la stessa entità - risponde sensatamente Elisabetta Villa (Presidente FPA, Fotoreporter Professionisti Associati) sostenendo che "nessun fotografo sarà costretto ad associarsi alla AFPA (Associazione Fotografi Parlamentari) per poter accedere alle Camere, ma potrà inoltrare richiesta di accesso temporaneo seguendo la procedura in uso da sempre, fermo restando che sarà comunque tenuto a sottoscrivere il codice di autoregolamentazione" di cui sopra. Aggiunge la Villa che associazione e autoregolamentazione "sono una conquista sul diritto al lavoro, poichè ora si potrà evitare che un qualsiasi questore o commesso della Camera possa decidere l'allontanamento di un fotografo dalle tribune o addirittura dove possa sedersi o cosa poter fotografare, come spesso in passato è accaduto".
Prendiamo atto delle posizioni di tutti e sull'argomento facciamo solo due considerazioni.
1) Le norme del codice di autoregolamentazione dei fotografi parlamentari sono già contenute nell'impianto legislativo italiano che regola il diritto all'immagine delle persone fotografate. La legge 633/41 (art. 96 e 97), la legge sulla privacy 675/96 (art. 25), il conseguente Codice Deontologico emanato dall'Ordine dei Giornalisti nel 1998 e il decreto legislativo 196 del 30/06/2003 (art. 136 e 137) parlano chiaro e sono piu' che sufficienti per regolare la materia. Forse la Camera dei deputati aveva semplicemente bisogno di delegare ad altro ente il controllo sul rispetto di tale normativa.
2) La creazione dell'Associazione dei Fotografi Parlamentari potrebbe essere utilissima come stimolo alla riforma del settore - soprattutto in vista di una possibile abolizione dell'Ordine dei Giornalisti - in quanto compie un primo passo verso una regolamentazione basata sull'esistenza e la convivenza di varie associazioni di categoria (che si differenzino per connotazione politica, per specializzazione, per indirizzo etico deontologico, per colore della tessera etc. etc.) così come avviene all'estero, in quei paesi dove l'Ordine dei Giornalisti non esiste. Se così sarà allora brinderemo tutti insieme. Altrimenti l'AFPA rischia di diventare l'ennesima piccola lobby italiana che difende la propria rendita di posizione, i propri interessi particolari, senza inserirsi o preoccuparsi di ambiti, questioni e problematiche generali.