Chi vuole dare il buon esempio?

Un'assenza che ha voluto essere un omaggio alla fotografia, ma anche uno stimolo alla riflessione: è la rinuncia alle immagini che ha caratterizzato un recente numero del quotidiano francese Libération. Una provocazione proposta in occasione dell'apertura della XVII edizione della fiera "Paris Photo" «per dimostrare il valore e l'energia della fotografia». Attraverso questo «choc visuel», ha spiegato la giornalista Brigitte Ollier, si è voluto far capire quanto le immagini sono importanti per la comprensione dei fatti, per "far parlare" un giornale. «Sapere, è anche vedere» ha ricordato la giornalista, e lo straniamento provato di fronte a pagine in cui, al posto di una fotografia, vi è uno spazio bianco con didascalia e crediti dello scatto mancante, lo dimostra.

 

Per la collega Béatrice Vallaeys tale spazio bianco è come «il negativo di immagini invisibili eppure là». L'iniziativa, ha spiegato la giornalista di Libération, ha voluto rendere all'immagine «l'omaggio che le spetta» e testimonia, dunque, una precisa presa di posizione della redazione, in un periodo oltretutto particolarmente difficile per il fotogiornalismo e per il mercato della fotografia in generale. Rappresenta «una infinita riconoscenza all'iconografia, quella dei fotoreporter, ma anche dei fotografi di moda, dei ritrattisti, dei concettualisti. Nel corso degli anni, – ha affermato la Vallaeys – la nostra passione per la fotografia in tutte le sue forme non è mai venuta meno. Non per  "abbellire" "scioccare" o illustrare, ma perché la fotografia offre uno sguardo sui costumi e gli usi del nostro mondo». 

  • didascalia: il numero di Libération uscito senza fotografie (14 novembre 2013)

Questi commenti fanno riflettere e lasciano un po' di amaro in bocca, se letti qui in Italia, un Paese in cui, tra i maggiori quotidiani nazionali (e non solo), pare diffusa una vocazione a strapazzare le fotografie, piuttosto che una volontà di rispettarle e di riconoscerne la valenza informativa. Prendiamo l'esempio delle didascalie e dei crediti fotografici che, a differenza di quanto successo nel numero sans photos di Libération, in Italia molto (troppo!) spesso non compaiono neppure quando le immagini sono presenti (siti online compresi) o, se compaiono, frequentemente sono pubblicati in modo incompleto e/o scorretto (servono conferme? www.fotoinfo.net ne ha raccolte in abbondanza: esempio 1, esempio 2, esempio 3, esempio 4, esempio 5, ecc.). «Quale crescita culturale sarà necessario innescare affinché nei giornali italiani si capisca l'importanza di questa prassi, che non è una semplice formalità, e nemmeno un pedaggio da pagare al narcisismo dei fotografi, ma un doveroso servizio nei confronti del lettore, per rendere trasparenti le fonti del giornalismo visivo della testata?» ci si chiede da tempo, con insistenza, in questo sito.

 

Tali omissioni non sono altro che il frutto e, al contempo, una delle cause del perpetuarsi di un generale deficit di cultura visuale, sia all'interno che all'esterno delle redazioni italiane. «C'è una mancanza di cultura della fotografia e del valore che può avere» ha confermato il direttore de La Stampa Mario Calabresi, in un incontro organizzato nel 2012 alla Fondazione Forma (ascolta l'audio). «C'è un lavoro culturale fondamentale da fare e va fatto, secondo me, proprio nel momento in cui siamo invasi dalle immagini». Calabresi nel suo ultimo libro, intitolato "A occhi aperti", ha raccolto una serie di interviste ad alcuni tra i più importanti fotografi della scena internazionale. «Ci sono fatti, pezzi di storia, che esistono solo perché c’è una fotografia che li racconta» ha scritto l'autore. «Questo non è un libro sulla fotografia ma sul giornalismo, sull’essenza del giornalismo: andare a vedere, capire e  testimoniare».

 

Appurato, dunque, che per l'Italia si può parlare di una diffusa incultura visuale, nonostante il fotogiornalismo abbia, di per sé, un ruolo storico e informativo di primaria importanza, viene naturale chiedersi: cosa stiamo aspettando a promuovere una volta per tutte questo cambiamento culturale «fondamentale»? Tra i vari quotidiani, ce ne sarebbe qualcuno disposto a rimettere in discussione il proprio operato e a contribuire – concretamente – a un miglioramento della situazione? La Stampa, per esempio, se la sentirebbe di formalizzare con i lettori un impegno in tal senso? Sarebbe un bel segnale.

 

Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti sarebbe disposto a fare lo stesso? A dimostrare la sua volontà di contribuire efficacemente a una "alfabetizzazione visiva", con una chiara presa di posizione in merito e con uno specifico invito, agli Ordini regionali, a predisporre adeguati percorsi formativi? C'è da tener presente, infatti, che a partire dal 1° gennaio 2014 i giornalisti attivi, iscritti da più di tre anni all'Albo, saranno tenuti a rispettare una formazione professionale continua, definita in un apposito regolamento come una «attività obbligatoria di aggiornamento, approfondimento e sviluppo delle conoscenze e competenze giornalistiche […] svolta nell'interesse dei destinatari dell'informazione e a garanzia dell'interesse pubblico». Poiché il fotogiornalismo non è un "cugino povero" del giornalismo, ma è esso stesso giornalismo, dovrebbe risultare prioritaria una formazione anche su questi aspetti. Soprattutto ora che la categoria ha a disposizione uno strumento normativo per sostenere su larga scala un simile rinnovamento culturale.

 

Nel settore, non bastano più parole e generiche esortazioni: servono, e al più presto, iniziative concrete e forme di collaborazione effettive ed efficaci. Il temporeggiare non è ormai giustificabile, se non con un autolesionistico disinteresse a promuovere davvero un giornalismo di qualità. A proposito di iniziative concrete, Luca Pianigiani, ideatore del portale jumper.it, ragionando sull'iniziativa di Libération, ha scritto nel sito in questione: «Una provocazione più sottile (e quindi meno comprensibile… forse al punto dal non essere proprio compresa) poteva essere quella di uscire con un numero con sole foto "amatoriali"; quelle che si riescono a trovare a costo zero sul web [...]. Il mercato sarebbe stato in grado di capire quale sarebbe stata la perdita?». C'è una differenza, fa giustamente presente l'autore, tra "fotografie" e "fotografie di qualità" e sarebbe importante far capire al pubblico che la professionalità ha un valore, anche economico.

  • didascalia: copertina del settimanale francese L'Express (N° 3251, settimana 23-29 ottobre 2013)
  • fonte: http://culturevisuelle.org/icones/2857

In Francia, Libération non è l'unico giornale ad aver fatto, di recente, parlare di sé per le proprie scelte in campo fotografico. Nel suo blog "L’Atelier des icônes", André Gunthert, storico e studioso di cultura visuale, ha scritto a proposito di una copertina del settimanale francese L'Express, realizzata con una classica fotografia di stock, stando alle informazioni fornite dal sito www.rue89.com. Per l'autore è una di quelle immagini a basso costo «industriali, polivalenti, senza identità, puri stereotipi». A suo giudizio la scelta di utilizzarla in copertina testimonia «l'indebolimento globale del ruolo del visuale nella sua capacità di suscitare l'attenzione» (nel caso in questione, precisa Gunthert, è «il titolo che fa vendere») e rivela «la banalizzazione dell'immagine e la sua minore attrattiva». "Quando la fotografia racconta lo stato del giornalismo" è – d'altra parte – il titolo del post...