Una costante delle mostre dei Rencontres di Arles è l’attenzione alla leggibilità delle fotografie e dei testi relativi: didascalie, introduzioni, biografie degli autori. Da qualche anno anche l’allestimento ha guadagnato crescente importanza. Si cercano di aggiungere stimoli emotivi alla visione. Nell’economia delle mostre, il percorso espositivo, la dimensione delle immagini, la loro disposizione, l’illuminazione hanno sempre maggior peso. Ci sono ancora le classiche mostre con tutte le fotografie delle stesse dimensioni, allineate lungo le pareti, le didascalie a lato o sotto, le luci orientate in modo da non creare riflessi ecc. ecc. ma iniziano a prevalere nuovi allestimenti dove ogni singolo scatto è valorizzato al massimo dalle dimensioni e dalla qualità di stampa o dall’accostamento con altre immagini, dalla posizione nel contesto dello spazio della mostra.
Il carattere monumentale di molte sedi espositive di Arles è usato per aumentare l’impatto visivo delle opere sul visitatore. È il caso della Église des frères prêcheurs con la mostra Life in the city di Michael Wolf dove la dimensione di molte foto sembra essere in scala con l’ambiente così come l’illuminazione naturale è stata sfruttata per i suoi effetti estemporanei.
Allo stesso modo il grande sviluppo lineare dell’ex deposito della stazione ferroviaria - Ground Control - che ospita la mostra Drowning World di Gideon Mendel, permette di vedere una fila lunghissima di ritratti a grandezza naturale. Così, la combinazione dello stile - soggetto al centro dell’inquadratura, ortogonalità delle linee - la similarità della situazioni di ripresa insieme con le dimensioni, esaltano il carattere documentario e la serialità del lavoro del fotografo. Tutto questo nonostante l’illuminazione sia affidata a neon da magazzino merci.
Alla Commanderie Sainte-Luce, l’immagine di un giovane migrante seduto, posizionata come una quinta teatrale nel piccolo cortile, guarda direttamente il visitatore all'ingresso della mostra Fifty-Fifty, del fotografo Samuel Gratacap. Lo sguardo è quasi un ammonimento all’indifferenza dei paesi ricchi verso il dramma dell'emigrazione e della fuga dalle guerre. L’installazione multimediale non è però del tutto efficace per la difficile consultazione delle indispensabili didascalie e note stampate sul retro di un manifesto 70x100 dato in omaggio. Il manifesto, una delle fotografie in mostra, è poco maneggevole in un locale piccolo e poco leggibile nella penombra necessaria alla visone dei video.
Ho già detto della mostra di Annie Leibovitz e del suo essere in bilico con l’installazione artistica. L’ex fotogiornalista Michael Wolf, ora visual artist, nell’installazione The Real Toy Story (2004), aggiunge non pochi stimoli di riflessione al reportage sulle fabbriche cinesi di giocattoli scattato originariamente per una rivista tedesca. Più in generale gli allestimenti tendono soprattutto ad esaltare - come dicevo sopra - il carattere dei lavori esposti attraverso elementi di connotazione che facciano leva sull’emozioni suscitate nel visitatore.
Esattamente come le fotografie pubblicate dai giornali sono connotate da titoli, articoli, didascalie e impaginazione, oggi le mostre sono arricchite e caratterizzate dalle connotazioni fornite dagli allestimenti. La mostra si è rivitalizzata, è una sorta di media e va sfruttato al meglio per raccontare efficacemente una storia.
Due fotografie di grandi dimensioni della mostra Iran Year 38, di 66 autori, alla Eglise Sainte-Anne, Les Rencontre de la Photographie, Arles 4 luglio 2017. A sinistra una foto della Series the Remembrance di Jassen Ghazbanpour; le regioni a sud e a ovest del paese che sono state teatro della guerra, oggi sono visitate in primavera durante le feste del nuovo anno persiano, 2016, stampa fotografica. A destra una foto senzatitolo di Abbas Attar, il regista Abbas Kiarostami sulle colline intorno a Teheran, dove ha girato Taste of Cherry, vincitore nel 1997 della Palma d'oro a Cannes, Wallpaper.