Geoff Dyer

L'infinito istante

Brassai, il fotografo delle notti di Parigi, ha scattato delle foto alla Lartigue. Kertesz pensava che Brassai avesse usurpato i suoi insegnamenti sulla fotografia notturna. Mentre Weston, alla fine di una carriera passata a fotografare la sensualità e la bellezza delle forme e della luce, ha scattato immagini alla Stieglitz o perfino alla Evans. E se Weston proprio in quegli anni esplicitò la sua ammirazione per Walker Evans, quest’ultimo non lo ricambiò per nulla, non stimandolo e accomunandolo nella disistima ad altri maestri come Ansel Adams e Paul Strand. La fotografia e la storia, americana, sono raccontate attraverso le immagini e la vita di grandi maestri e autori meno noti, in un romanzo senza fine in cui analogie contrasti e incontri costituiscono il filo conduttore. Il racconto appassionante e appassionato dei rapporti tra la coppia Stieglitz - O’Keffee e Paul e Rebecca Strand, della malinconia di Kertesz, del rigore ideologico ed estetico di Paul Strand e della follia iperproduttiva di Winogrand, che lo portano a non guardare neppure più le foto scattate, o la maniacale preparazione di Eugene Smith, che per mesi a Pittsburgh prepara un lavoro senza fine, permette di conoscere l’altro lato delle immagini, mostrando nevrosi meschinità dolori amicizie amori invidie di vite e personalità spesso difficili, quasi mai pacificate e risolte. Non solo il sottovalutato, per una parte della sua carriera almeno, Andrè Kertesz, ma perfino un monumento come Stieglitz o un genio come Evans negli ultimi anni di carriera e di vita erano pieni di rimpianti e frustrazioni. Gli accostamenti di immagini, collegate da analogie visive e tematiche, privilegiano, come dice Dyer, le fotografie che sembrano fatte da qualcun altro, mostrando la difficoltà, a volte addirittura l’impossibilità, come già fece John Szarkowski, di attribuirle senza possibilità di errore a un autore. L’analisi procede per enumerazione, è un libro di cose: cappelli schiene staccionate strade porte scale drive-in barbieri stazioni di servizio rovine panchine persone che si incontrano si perdono e poi tornano dopo anni agli stessi temi o sugli stessi luoghi in un susseguirsi di corrispondenze e somiglianze. Lontano da qualsiasi formalismo, pur attraverso una rigorosa e fortemente caratterizzata selezione, Dyer cerca le immagini che hanno a che fare con la storia degli uomini e della fotografia, ma soprattutto con la vita. Il libro si chiude con una citazione (discutibile?) di Susan Sontag sul fotogiornalismo e con una selezione di immagini di James Natchwey, accostate in maniera forse un po’ formalista a grandi opere della storia della fotografia: la giovane donna albanese di Natchwey e la “Migrant Mother” di Dorothea Lange hanno una somiglianza solo formale e visiva, restando i contesti completamente differenti. Contesto, l’attacco dell’11 settembre 2001, che torna al centro nella foto a chiusura del libro “After Death What?” di Regina Fleming. Federico Della Bella