Claudio Marra torna a scrivere di fotografia. E lo fa nel suo oramai consueto stile appassionato e provocatorio. "L'immagine infedele" è un breve ed agile saggio che ha il merito di seminare immediatamente dubbi e provocare domande scomode: infedele a che cosa? E a quale immagine ci si sta riferendo? Naturalmente a quella fotografica, in particolare nella sua nuova, per alcuni rivoluzionaria, veste digitale. Secondo i sostenitori di questa tesi, l'immagine trasformata in successione di uno e zero perde quel suo rapporto privilegiato con la realtà che fino a ieri aveva caratterizzato il fotografico nel senso comune. Finalmente la fotografia si affranca dal suo legame scomodo con il referente diventando, grazie all'introduzione del codice numerico, linguaggio a tutti gli effetti, produzione culturale, arte. Dall'altro lato della barricata stanno invece i nostalgici dell'analogico, i quali rimpiangono un mondo più umano, artigianale, fatto di ore trascorse nella solitudine della camera oscura.
L'autore suggerisce che in questa polemica si stia proponendo ancora una volta lo scontro tra apocalittici e integrati, tra coloro che vedono in ogni progresso tecnologico un' irrimediabile allontanamento da un' autenticità umana supposta come originaria, e coloro che lo accolgono invece col cieco entusiasmo di chi attende una rivoluzione salvifica. Proprio nel tentativo di evitare la battaglia del tutto ideologica degli opposti, Marra ricostruisce e compara i meccanismi materiali che presiedono alla formazione dell'immagine analogica e digitale. Se infatti caratteristica fondante della prima è sempre stato essere traccia - per la semiotica "indice" - lasciata dall'azione diretta della luce sulla pellicola, nel caso della seconda la continuità tra refente e sua traccia sembra andare persa nella codifica binaria. Tuttavia ad uno sguardo più attento ci si renderà facilmente conto che anche il CCD - il sensore che fa le veci della pellicola - è uno strumento che reagisce in maniera analogica alla luce, la cui intensità eccita le cellule fotosensibili che a loro volta restituiscono una determinata carica elettrica. Il procedimento di codifica digitale entra in gioco solo a questo punto, ovvero nell'assegnazione di un valore discreto alla quantità di carica elettrica rilasciata dalle fotocellule. Forse un termometro - suggerisce Marra - finisce di essere tale perchè leggiamo il valore della temperatura su un display invece che dalla colonnina di mercurio? Certamente no. Perchè dovremmo allora considerare la fotografia digitale qualcosa di radicalmente diverso da quella tradizionale se il suo cuore continua ad essere profondamente analogico ed intriso di realtà? Lo dimostra non soltanto l'osservazione del procedimento tecnico, ma soprattutto l'uso sociale della foto come supporto della memoria personale e collettiva che l'introduzione del digitale ha fatto esplodere a livelli mai raggiunti prima. Lo dimostra inoltre la fiducia con cui il pubblico continua a guardare le foto sui quotidiani, motivo per cui è stata utilizzata un'immagine digitale scattata da un telefonino, e quindi di bassissima qualità, come testimonianza degli attentati alla metropolitana londinese. Più dell'alta definizione potè il senso comune.
Dietro l'entusiasmo per il digitale e relativa scomparsa della scomoda realtà dall' immagine fotografica deve celarsi allora qualche motivazione più profonda. Qui l'autore s' addentra in un interessante e spassoso excursus nella psicologia della cultura. La semiotica ha sempre fatto figli e figliastri, in particolare l'indice - la fotografia - è sempre stato il figlio scemo, poco dotato e poco interessante proprio per questa sua apparenza di superficiale calco del referente. Tutte le sua attenzioni di madre premurosa si sono concentrate sull' icona, la figlia prediletta che presiede alla creazione del linguaggio e dell'arte. Che dietro all'entusiasmo per la rivoluzione digitale si nasconda un complesso di inferiorità per essere solo dei semplici fotografi? La scomparsa dei fatti inoltre, per citare un recente saggio di grande successo, dall'informazione italiana sono ormai cronaca quotidiana. Che l'entusiasmo per il digitale nasconda freudianamente quello per l'eliminazione di ogni traccia residua di quella realtà tanto scomoda che la piccola voce della fotografia ancora tenta di raccontare?