Una storia della fotografia voluminosa e ricca di immagini, che accompagna l’evoluzione del mezzo lungo 180 anni, dalle origini al primo decennio del terzo millennio, abbracciando l’arte, la scienza, la storia, la produzione famigliare e comune (vernacular nel testo), il dibattito filosofico e culturale. Un racconto di ampio respiro, costruito evitando schematismi e banalizzazioni, che identifica le linee guida fondamentali e individua il posto della fotografia nella storia. Una fotografia dunque ancorata alla storia e alle evoluzioni della società, del pensiero, del costume, nonché ai progressi della scienza e della tecnica. Con questo metodo l’autrice lega l’evoluzione di stili e contenuti sia alle possibilità tecniche rese disponibili dalla scienza e dall’industria, sia alle mutazioni della società e della cultura. Una visione complessa dunque, che evita di costruire una cronologia di grandi nomi e personalità, che storicizza le più importanti, approfondendone le caratteristiche principali attraverso schede monografiche. Queste figure sono trattate come espressione di genio individuale, ma soprattutto come prodotto di un’epoca storica ben determinata. Anche gli artisti più grandi, anche i pensatori più audaci sono persone del loro tempo.
Decisa a non sciorinare una teoria ininterrotta di grandi nomi, l’autrice divide il libro in 8 capitoli con una scansione temporale.
Nel primo, intitolato Le origini della fotografia, viene coperto un periodo che dalle prime tracce rinascimentali di utilizzo della camera obscura arriva alla presentazione dell’invenzione di Daguerre nel 1839, ricordando il lungo e difficile percorso, che, dagli esperimenti con la camera lucida al fissaggio delle immagini su vari supporti, ha reso l’invenzione possibile, anzi, necessaria.
I capitoli successivi approfondiscono i temi decisivi per lo sviluppo della fotografia lungo la storia. Per elencarne solo alcuni: la guerra, il rapporto con la scienza, il viaggio e l’esplorazione, lo studio del territorio, la finzione, il dibattito culturale e filosofico, l’evoluzione tecnica e tecnologica, il rapporto con l’arte, il fotogiornalismo. Accanto ai temi generali si trovano approfondimenti su periodi e fenomeni particolarmente significativi, come la Cina, il massacro cambogiano, la rappresentazione dei bambini, e monografie di singoli autori, da Julia Margareth Cameron a Sebastiao Salgado.
Il secondo capitolo è intitolato La seconda invenzione della fotografia, dal 1839 al 1854, quando ancora sono i problemi tecnici a guidare le scelte e le ricerche dei fotografi, ancora scienziati, chimici, qualche volta pittori mancati. Sono gli anni in cui si sperimentano materiali sensibili e supporti diversi, dal vetro al rame alla carta. Ma sono anche gli anni in cui si gettano le basi dei generi, degli utilizzi e dei temi dominanti lungo tutta la storia della fotografia, come il ritratto, il rapporto con l’arte, la fotografia scientifica e medica, la fotografia di viaggio, la guerra. Con la Mission Heliographique negli anni 50 lo stato francese assegna alla fotografia il compito di catalogare il patrimonio artistico della nazione. E’ la prima committenza pubblica della storia. Ne seguiranno altre fondamentali, negli Stati Uniti soprattutto, dalle campagne topografiche nel west alla Farm Security Administration. In Italia si deve aspettare più un secolo per vedere i primi segni di questo utilizzo della fotografia, con le committenze pubbliche di Paolo Monti.
Dalle prime immagini di guerra prende l’avvio il terzo capitolo, che, terminando nel 1880, accompagna l’espansione della fotografia, sia geografica, con l’affacciarsi delle prime testimonianze extra occidentali, sia sociale, con la diffusione dell’immagine fotografica a una più ampia fascia di popolazione, tanto che nel 1880 si può ipotizzare che la maggioranza degli abitanti di Europa e Stati Uniti abbia visto nella vita almeno una fotografia, o ne abbia sentito parlare, e che questa sia ormai cosa ovvia per gli abitanti delle più importanti città. In questi anni si hanno le prime testimonianze fotografiche di una guerra, grazie a Roger Fenton, che ritrae la guerra di Crimea del 1855. Sempre in questo periodo Julia Margareth Cameron diventa la prima donna fotografa di una certa fama, mentre la fotografia diventa uno strumento accettato e utilizzato in diverse discipline, dalla medicina, all’etnografia, addirittura fondamentale nelle grandi spedizioni geografiche sia extra-occidentali, sia nell’ovest degli Stati Uniti. La fotografia inizia ad avere un valore commerciale e una fruizione di massa, grazie alla carte-de-visite inventata da Disderi e alla diffusione capillare di studi fotografici: avere un proprio ritratto o dei propri famigliari non è più una prerogativa delle sole classi alte. Intanto Oscar Rejlander, Henry Peach Robinson, Julia Margareth Cameron trovano un posto nell’arte, cercando, nell’imitazione della pittura, per le tematiche e lo stile, una legittimazione, a quel tempo impossibile per un mezzo così fortemente tecnico e in cui la manualità ha un posto così limitato.
Il periodo che va dal 1880 al 1918, intitolato La fotografia nell’età moderna, segna il passaggio a una nuova fase. La fotografia è ormai parte della vita quotidiana ed è comunemente accettata, mentre il progresso tecnico rende possibile la registrazione del movimento e la commercializzazione dell’apparecchio portatile Kodak (1888), permettendo una diffusione capillare della tecnica fotografica. La lastra a mezzatinta rende possibile la stampa su una stessa pagina dei caratteri tipografici e delle fotografie, permettendo l’inizio del fotogiornalismo. La cronofotografia di Maray e Muybridge e la conseguente nascita del cinema avrebbero avuto ripercussioni durature. Con Jacob Riis intanto ha inizio il documentario sociale e l’indagine sui margini della società. Alfred Stieglitz da alfiere del pittorialismo diventa fautore della “straight photography” e, tramite la rivista Camera Work, afferma che la fotografia è arte non quando imita la tecnica pittorica, ma quando sfrutta e realizza le proprie caratteristiche, il proprio specifico. Alcuni futuristi, su tutti Anton Giulio Bragaglia, utilizzano la fotografia come strumento di creazione artistica. Pur non essendo accettata da Marinetti e dal grosso del movimento, è la prima volta che la fotografia viene presa in considerazione da artisti non fotografi, come strumento per fare arte.
Il quinto capitolo è intitolato significativamente Nuova Visione e segna la maturità della fotografia, che smette supera la sudditanza verso la pittura e trova nel proprio specifico le modalità di rappresentazione. Da un lato le avanguardie, dadaismo, surrealismo, costruttivismo russo, con la passione per le macchine, la scrittura automatica, il collage e il fotomontaggio, e l’interesse per i mezzi di comunicazione e produzione industriale, vedono nella fotografia uno strumento congeniale alle premesse filosofiche dei manifesti, superando l’incoerenza tra le premesse teoriche e le realizzazioni pratiche dei futuristi italiani. Dall’altro straight photography e modernismo costituiscono la spina dorsale delle fotografia americana, che vive la grande stagione del documentario della Farm Security Administration e di Walker Evans. Robert Capa riprende la guerra civile spagnola e la Seconda Guerra Mondiale come nessuno aveva mai fatto prima di allora.
Con la fine della seconda guerra inizia il sesto capitolo che segna l’apertura della fotografia all’Asia, al Sudamerica, all’Africa. Mentre in occidente il reportage francese con Cartier Bresson tocca i suoi vertici e negli Stati Uniti la street photography indaga la società americana. In questi anni i giornali illustrati vivono l’apice della popolarità e il rapido declino a favore della televisione: il racconto fotografico della guerra in Vietnam verrà giudicato da alcuni decisivo per la piena presa di coscienza dell’opinione pubblica, insoddisfacente da altri, fino a far dubitare delle potenzialità della fotografia, non solo nella narrazione, ma perfino nella testimonianza. Pop, land, body art, informale, performance usano la fotografia in maniera sempre più continuativa. Alla metà degli anni 70 alcuni autori come Cindy Sherman raggiungono quotazioni impensabili fino a poco tempo prima.
Nel settimo capitolo si esplorano gli anno 80 e 90 e il titolo Convergenze segnala la caduta di qualsiasi barriera tra generi, mezzi, ambiti. Impossibile muoversi secondo le vecchie categorie. Inizia l’era digitale e con essa il dibattito sulla post-fotografia, mentre la fotografia postmoderna indaga l’identità sessuale ed etnica della condizione umana, il ruolo dei mass media, la finzione, l’artificiale, la rappresentazione. Si sviluppano visioni neutre e distaccate di un nuovo documentario e una fotografia famigliare e diaristica che imita la produzione amatoriale e comune (vernacular nel testo ). La fotografia staged costruisce mondi paralleli e opera con modalità cinematografiche.
Le riviste di moda e la moda stessa abbandonano un immaginario patinato e irraggiungibile e accettano di mostrare la realtà. La commistione tra arte, moda, comunicazione, pubblicità, ricerca, fotogiornalismo e documentarismo è oramai irreversibile.
Il terzo millennio si apre con sconvolgenti catastrofi, la globalizzazione non è stata la soluzione di tutti i problemi, crollate le ideologie e la fiducia che rappresentazione, testimonianza e racconto possano cambiare il mondo, la fotografia si dà compiti più limitati, indagando la bellezza, i giovani, il ruolo della politica, il privato. La Cina si affaccia come grande potenza anche nell’arte e nella fotografia. Queste le tendenze generali e maggioritarie. Rimangono grandi autori e tradizioni fiduciose nel ruolo della fotografia, da Nachtwey a Salgado resiste l’idea che la fotografia e la conoscenza possano cambiare il mondo.
Federico Della Bella