“Tutti questi atti sono stati e continuano a essere atti di stato. Questa formula denota una dottrina legale che garantisce l’immunità agli individui che lo Stato manda a compiere atti che in altre circostanze sarebbero crimini. Gli atti che vediamo nelle fotografie qui raccolte sarebbero definiti crimini, se a commetterli non fosse lo stato”.
L’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele a partire dal 1967 è analizzata e proposta da Ariella Azoulay (direttore della Camera Oscura School of Art di Tel Aviv e docente di Cultura Visiva e Filosofia Contemporanea presso la Bar Ilan University) attraverso le fotografie, raccolte dalle agenzie di stampa, dagli uffici governativi e soprattutto dagli archivi privati dei fotografi, che hanno reso possibile questa ricostruzione storica e fotografica. I fotografi coinvolti in questa mostra — libro sono oltre 70, per la maggior parte israeliani, mentre gli autori palestinesi sono praticamente assenti, quasi completamente fino alla prima Intifada del 1987. Di ogni fotografo, tra cui Miki Kratsman, Ziv Koren, Uzi Keren, Rina Castelnuovo, sono riportati il nome e la provenienza, chiarendo così la motivazione e la committenza di ogni singola fotografia, dalla documentazione personale, ai giornali, alle agenzie, agli attivisti politici, agli uffici stampa del governo, ai soldati di “Rompere il silenzio”, ai medici per i diritti umani. Capire le ragioni per cui una fotografia è fatta, conoscere la fonte con nome e cognome è una condizione fondamentale per comprenderla davvero e poterla interpretare. È dato per scontato che le fotografie provenienti dall’esercito, da attivisti politici, da giornalisti sono intrinsecamente diverse e che alla luce di questa diversità si debba affrontarle in modo diverso.
L’analisi prende avvio nel 1967, anno in cui ha inizio l’occupazione israeliana in Cisgiordania e a Gaza, e termina nel 2007, quando la costruzione del controverso muro di separazione è ormai quasi ultimata. Rispetto ai periodi storici attraversati, non sono i grandi eventi a interessare, né la ricostruzione abitualmente fornita dai media o dalle autorità, la cui tendenza alla banalizzazione e al sensazionalismo ha sempre mancato di riconoscere la dignità civile e lo status politico dei palestinesi. Le fotografie qui raccolte si propongono invece di restituire questo spazio civile a coloro a cui è stato sempre negato. La narrazione procede lungo due direttrici, una orizzontale, l’ asse sintomatico, in cui viene raccontata la vita quotidiana sotto l’occupazione nel suo sviluppo temporale come un continuum punteggiato da una lenta evoluzione, l’altra verticale, per linee tematiche, in cui sono presi in considerazione alcuni fenomeni a partire dalla prima volta in cui si sono manifestati, dalla presenza di mezzi per separare le popolazioni, alle varie forme di violenza, alla natura della presenza militare nei territori, ecc.
Politicamente e moralmente il libro è un atto di accusa verso il comportamento delle autorità israeliane, che per oltre 40 anni, dal 1967, hanno negato i diritti politici e civili ai palestinesi della Cisgiordania e di Gaza, ridotti al rango di non cittadini, sui quali esercitare, a seconda delle circostanze, la forza o la compassione. Nella fotografia Azoulay riconosce ai palestinesi un ruolo attivo mentre si propone di mostrare che la retorica ufficiale, tendente a considerare la situazione nei Territori Occupati e la presenza dell’esercito normale, almeno fino all’Intifada del 1987, è sostanzialmente un falso e una creazione della propaganda. L’analisi delle fotografie mostra una realtà alquanto diversa, che la presenza dell’esercito nella vita di tutti i giorni ha creato un clima e un’abitudine alla violenza e all’uso delle armi e della forza lontane da una situazione di normalità, che tutta la vita delle persone è stata completamente snaturata dalla presenza di militari, armi, check point, che i palestinesi non hanno mai accettato l’occupazione dei territori e che ben prima del 1987 la tensione tra l’esercito occupante e la popolazione è stata una costante in tutte le città palestinesi, che i diritti dei palestinesi sono stati sistematicamente violati, a partire dall’impossibilità di disporre del proprio spazio e del proprio tempo. Nelle fotografie si ricostruiscono le relazioni tra gli attori principali in campo: l’esercito, i cittadini israeliani, i non cittadini palestinesi, i profughi e la vita nei campi, le colonie, le barriere tra i due popoli.
Fino a qui tuttavia la novità e la forza del libro risiederebbero sostanzialmente nella minuziosa ricerca iconografica e nella ricostruzione fotografica di un evento storico drammatico e apparentemente insolubile. Quando diversi critici parlano di saggio teorico si riferiscono però a un aspetto fondamentale del libro, che va visto come un manuale, un saggio teorico che propone un metodo di analisi studio e interpretazione della fotografia, obbligando a riflettere sul rapporto delle fotografie tra di loro e di queste con la storia, la politica e soprattutto con la parola, talvolta arditamente, provocatoriamente?, ipotizzando persino i pensieri e le sensazioni dei soggetti ritratti. Sembra infatti che l’autrice descriva anche ciò che non si vede nelle immagini, collegandosi però sempre e rigorosamente alla realtà storica e sociale del momento. Il passaggio è coraggioso e sottolinea contemporaneamente la forza e il limite della fotografia documentaria: la forza per la sua evidenza, per la possibilità di studio e di interpretazione che offre, il limite perché attesta ancora una volta che in un ambito giornalistico — documentario la presenza della parola e del contesto sono necessari per non rendere le immagini mute, semplici illustrazioni, collegate alla realtà da riferimenti di tipo simbolico, ridondanti nella loro ripetizione di idee e modelli precostituiti. Una modalità di utilizzo tristemente nota, che rende tutte le fotografie intercambiali, che permette di creare degli stereotipi eterni, replicabili all’infinito, in una parola inutili.
Federico Della Bella
In rete:
Recensione su Cultframe a cura di Maurizio G. De Bonis
Recensione di Giovanni Fiorentino sul sito della Sisf (Società Italiana Studi Fotografici)
Presentazione del libro con Ariella Azoulay alla Casa della Cultura con Ferdinando Scianna e Adi Ophir. Coordina Maria Nadotti